No Sudden Move (2021)

Gangster più umani per Steven Soderbergh

Steven Soderbergh rientra in pompa magna con uno dei suoi classici cavalli di battaglia: il film corale ricco di all star!

Ancor più intrigante tale premessa se a movimentare l’action ci siano un gruppo di criminali a caccia d’ “oro”, stavolta sotto forma di documento top secret, che faccia loro sbarcare il lunario gabbando il nemico di turno.

Il regista però, forse per segnare il passo e scortare i tempi che inesorabilmente trascorrono e una latente stanchezza di fondo, sostituisce il bello, ricco, eccentrico ed artificioso modus operandi degli uomini di Ocean con un atteggiamento dimesso e perdente di un nuvolo di veri e propri underdog, topi da rapina e gangster della temibile Detroit anni 50 mai realmente arrivati alle vette del potere, tutti con l’ombra dirompente del boss Frank Capelli a farli esitare!

Gli eroi di giornata infatti hanno le sembianze strepitose di Don Cheadle, Benicio Del Toro, Ray Liotta, Bill Duke e un Brendan Fraser novello Edward G. Robinson, ognuno conciato a modo e segnato nel fisico dal direttore d’orchestra, per rimarcare la tenera decadenza di ciò che è stato e non sarà più.

La loro risposta è altresì soddisfacente, visto che alla consapevolezza di una velata sottomissione a chi li comanda, ribattono tutti con una tigna veemente che li renderà celebri durante la proiezione! Ottimo il supporto d’elite fornito dai vari David Harbour, Jon Hamm, Kieran Culkin, Julia Fox, Amy Seimetz e il prestigioso cameo di Matt Damon, che “normalizzano” sì il prodotto ma ne acuiscono l’impurità.

Ovvio che simili peculiarità non potranno che portare a faide interne ed errori macroscopici, i quali ingarbuglieranno una trama che svirgola fra la tipica gangsta squad e un action noir claustrofobico, qualità quest’ultima da ascrivere esclusivamente al genio di Soderbergh, maestro nell’associare copioni scorrevoli ad hype istantanei, grazie ad inquadrature in primissimo piano abbinate a sottofondi ansiolitici, sia musicali che “telefonici”.

Molto bello il montaggio e l’animosità di una fotografia accesa e prettamente fifties, che fa il paio a macchine d’epoca e vestiti succinti, proverbialmente eleganti nei rientri in ufficio ma pure sgangherati negli esterni da strada, entrambi omaggi e dediche alla magniloquenza dei Dana Andrews e John Garfield d’annata.

La sceneggiatura di Ed Solomon – e come potrebbe essere altrimenti – non si adagia nel dramma e nella tensione continui e contigui che il regista mantiene fissi, ma gigioneggia spesso per rimarcare sia le lotte intestine fra uomini che per aprire la spiritualità degli uni verso gli altri, e confessare i propri sogni e aspettative recondite una volta portate a termine le consegne.

L’ironia è perciò il basamento velato di ogni acting, dove mancate rivelazioni di scappatelle o bugie varie, ammissioni di colpe tra rapitori e giovani sequestrati e astrusi dialoghi durante i colpi fra hamburger e patatine rimandano ai killer incompiuti di Andrew Dominik e i fratelli Coen se non addirittura John Huston.

La location poi, una Motor City dilaniata da conflitti razziali, malavita e istituzioni colluse e sempre in procinto di cambiare non in meglio, conferma nell’aire qull’inquieta apprensione che scorta l’arco narrativo sino a fine pellicola.

Per tutto ciò il vitale cinema di Soderbergh concede alla sua nuova banda un inedito alone di normalità e umanità, che lascia trasparire per la prima volta le necessità di delinquere non più per arricchirsi, bensì sopravvivere e riscattarsi socialmente!

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