The Protege (2021)

Ennesimo Action Thriller al femminile

Ennesimo film d’azione hollywoodiano al femminile che strizza l’occhio al passato recente, sfruttando sia le dottrine samurai che gli artifici Tarantiniani, passando infine per le ultime spy story sui generis, che pongono il sesso debole come vera e propria iperbole per recuperare giustizia e rettitudine, appaiando l’animo nobile di chi ha sofferto un’infanzia brutale al cinismo della serial killer crudele.

Chi meglio di Maggie Q e Martin Campbell potevano sollevare un fardello del genere, lei meticcia action star hawaiana di origini vietnamite e lui regista sapiente nell’accelerazione improvvisa di climax e maestro nel trasporre coreografie magniloquenti.

Ambedue perciò sono i responsabili primari di una pellicola che supera l’esame nonostante di novità ce ne siano alla fine ben poche, la trama appartenga ormai a un classico blockbuster odierno e la sceneggiatura venga invasa da forzature sì obbligate, per rendere intimistica l’introspezione dei protagonisti, ma in conclusione troppo forzate ed eccessive.

D’altronde il copione di Richard Wenk non si esime dal confermare la sua dottrina principale, e cioè unire la drammaticità di una lotta psicofisica senza esclusione di colpi a dei dialoghi confidenziali che spesso trascendono nell’irreale e grottesco.

Il cast poi annette alla selvaggia Maggie/Anna una combo eccezionale nel Moody di Samuel L. Jackson, glaciale sicario afroamericano, e nell’ambiguità del Rembrandt di Michael Keaton, mai così dark e indefinito.

Il rapporto e la correlazione tra Anna e i due è al centro della narrazione, dato che il legame primordiale con Moody deriva da un patto di vita, allorquando l’uomo la salvò da bimba a Saigon per “adottarla” militarmente. Alla stessa stregua, decenni più tardi, per contraccambiare il favore si unirà quasi spiritualmente all’altro nei suoi posti d’origine.

Il regista si auto celebra ancora una volta, immolandosi con inquadrature dinamiche nelle numerose sequenze d’azione, sopravanzando grazie a una brutalità quasi sopra le righe e alla velocità dell’enfatica coreografia la pochezza di monologhi come detto troppo artefatti, bypassando pure spiegazioni più consistenti sulla genesi familiare dell’eroina, in pratica omessi.

Tutto ciò alla fine non è però un male, bensì un espediente per portare a compimento un’opera onesta e senza ambizioni, che scorre tuttavia rapida ed è persino allettante e godibile, per merito dunque della direzione artistica di Campbell confermatasi sempre sul pezzo, dell’alleggerimento narrativo grazie a performance eccentriche, divertite e improvvisate dei due assi al maschile, e confermando Maggie Q agile ed impavida mattatrice!

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