The Tender Bar (2022)

La parte migliore dell’America

George Clooney sbarca camera in spalla nel mondo dei memoire movie, adattando cinematograficamente il romanzo autobiografico del giornalista scrittore nonché premio Pulitzer JR Moehringer, The Tender Bar.

Il produttore del Kentucky omaggia l’America migliore, quella semplice dei sobborghi e bassifondi, nella quale ogni sogno può diventare realtà, la resilienza psichica fa miracoli e l’unione familiare è l’imprescindibile forza su cui far riferimento in ogni avversità.

La storia, appunto reale, è quella della difficile infanzia dell’affermato scrittore, sballottato fra sfratti e residenze cambiate fino alla vecchia casa di famiglia del nonno materno, una specie di comune e ritrovo post fallimenti lavorativi e sentimentali!

L’epoca è quella degli ultimi anni 60, la location è la parte povera di una Long Island triste e decadente, dove un bicchiere di whiskey è la medicina con la quale affogare peripezie ed insuccessi quotidiani, e alla radio passano Isley Brothers, Bobby Darin e Jackson Browne!

E’ proprio qui e solo qui, in alta e bassa frequenza, che JR ascolta e conosce suo padre, il The Voice rauco che accompagna i pomeriggi adolescenziali tra un derby Mets/Yankees e altro, colui che lo abbandonò assieme a sua madre ad un destino di solitudine e povertà.

Clooney concede massimo spago e svago ai commensali di JR, la macchietta scorbutica ma caposaldo immarcescibile Christopher Lloyd e la diversamente depressa Dorothy di Lily Rabe su tutti, ma a bucare lo schermo forse per la prima volta in carriera e fare il bello e cattivo tempo davanti la cinepresa è Ben Affleck nel ruolo di Uncle Charlie, lo zio che tutti vorremmo avere, prenotandosi probabilmente il viaggio più bello per la notte degli Oscar, cavalcata eventualmente inedita come attore.

Il bar da lui gestito è difatti un ritrovo di tutti i repressi della New York industrializzata prima e di quella yuppie poi, dove poter raccontare aneddoti e vantarsi di quel che si è fatto, (s)consigliando al piccolo e poi maturo JR ogni furbata possibile per campare sereni.

Dietro qualunque parola, gradazione alcolica e fumo a palate, JR trova però una magia che gli sarà fatale in futuro, allorquando dovrà rapportarsi con una classe sociale nettamente superiore, mettendo perciò in un lato nascosto del suo cuore questi semplici e genuini “insegnamenti” da strada ed affiancarli alla progressiva cultura che lo investirà di lì a poco.

Il ragazzo è felice di tornare qui spesso, ascoltando le storie dello zio e vivendo colmo di affetto e di persone intime, sebbene urli, litigate e frustranti rese dei conti casalinghe siano all’ordine del giorno; quel che gli resta nell’intrinseco è amore e sacrificio: ingredienti che porterà con sé fino al successo finale!

Il regista/produttore ottiene lo scopo di fotografare dall’alto pensieri e parole di una parte d’America emarginata ed imprigionata nelle proprie disfatte, ponendo sì la storia di JR – un convincente Tye Sheridan – al centro dell’arco narrativo, ma lasciandola esplorare da ogni interprete secondario, un grumo di underdog falliti che fanno il tifo affinché il ragazzo sbarchi il lunario, emigri a Yale, trovi l’amore e diventi un romanziere di successo, per evadere a differenza loro dal martirio quotidiano.

Il lieto fine avviene per l’appunto grazie alla semplicità di ogni gesto che il giovane si trova a ricevere, e sarà bensì determinante nell’accrescimento della propria autostima e fiducia, combattendo “dall’alto” della sua povertà per raggiungere gli obiettivi prefissati e relazionarsi con l’alta borghesia da una posizione addirittura superiore.

Clooney porta egregiamente a termine il suo compito per merito pure della scrittura sopraffina di William Monahan, che non banalizza nessun tipo di dialogo, rendendo introspettivi sia quelli di una madre malata e sull’orlo di una crisi di nervi ma innamorata del figlio che con enormi sacrifici ha cresciuto in solitaria, quelli grotteschi dentro le mura domestiche ed infine quelli magici di Charlie, un one man show indimenticabile.

Sgargiante seppur sbiadita la luce che fotografa la scena, così come la perfetta scenografia che ripropone gli esterni di Long Island in modo azzeccato.

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