West Side Story (2022)

Spielberg riaccende il musical

Il sogno di Spielberg diventa realtà: riadattare e riproporre il celebre West Side Story in epoca contemporanea e dedicarlo al suo compianto padre nonché mentore cinematografico e musicale!

Il mitico story teller si “accontenta” di mettere esteriormente la sua magica mano in uno dei più iconici musical di sempre, assistendo perciò quasi da spettatore all’intoccabile magniloquenza di una storia tuttora drammaticamente reale in maniera ordinata e pacata, cedendo il ruolo primario alle gang rivali del West Side di Manhattan, al degrado giovanile e urbano e agli amori/umori impossibili dell’America povera anni 50, sì in fase di evoluzione ma sostanzialmente e tragicamente abbandonata al proprio destino!

La sua camera da presa – as usual – farà bensì la differenza, pedinando speditamente europei o portoricani che siano, asfissiandoli dal primo all’ultimo giro di lancette, e dando perciò alla pellicola sia un senso malinconico e romantico che thriller e delinquenziale.

Jets e Sharks quindi rubano ancora la scena, al pari delle problematiche sociali e razziali, accentuate dal regista fortemente, quasi a far risaltare le similitudini fra l’epopea della rigenerazione urbana di metà secolo e quella attuale della ricchezza industriale e tecnologica, nella quale però le discriminazioni su immigrati trapiantati è presente eccome, persino sotto forma di proclami verso divisioni, muri e barriere.

La Terra dei Sogni, spesso esaltata da Spielberg in numerosi lungometraggi, viene stavolta messa al muro sfruttando un classico del cinema, nel quale ridondante a fine protezione appare la somiglianza fra le tragedie degli insediati di ieri, dimenticati dalla legge e lasciati andare alla propria sorte fra risse, rese dei conti e accoltellamenti mentre la ricchezza cominciava a risorgere, e quelli di oggi, non più presenti nei quartieri popolari nel frattempo divenuti agiati, ma estromessi dall’ormai benestante collettività e ancora malmenati dalle forze dell’ordine, a meno che scavalcando i confini non contribuiscano alla borghese ripresa economica.

Dal canto loro, gli “stranieri” sognano di rientrare in patria un giorno e ricostruirsi un’esistenza dignitosa!

Spielberg ha il merito di sottintendere tutto questo, senza però togliere nulla alle radici originali dei musical in voga al cinema negli anni 50 e 60; la presenza di Rita Moreno infatti, rappresenta forse un omaggio più a se stesso che a lei, egli bimbo cresciuto guardandone a dozzine, e che quindi edifica un ponte di congiunzione fra tradizioni passate e presenti.

Il direttore d’orchestra rinsalda dunque i tanto cari temi trattati dal debutto a Broadway nel 1957, confermando e come già detto l’attualità e realtà di una storia così drammatica da far rinunciare all’amore a discapito della morte, esaltando nuovamente il sentimento reciproco fra umanità e rabbia, che mischiate permangono quando razzismo, integrazione e sviluppo sociale si fondono.

Il tutto parallelo alla musica immortale di Leonard Bernstein e agli insegnamenti di Shakespeare su amore e clemenza prima e perdono poi!

La contemporaneità di questa versione sta nelle mille luci e colori utilizzati, utili per rendere sia fantastico che reale un adattamento d’un tratto originale, primigenio se non inedito, cedendogli così quell’alone solenne ed enfatico che soltanto produzioni teatrali e musicali possono avere!

Spielberg all’interno di una tragedia così immane riesce a farci sognare e sperare, grazie all’eccellente tecnica che la sua regia impone e trasmette, scrivendo l’ennesima grande poesia di carriera senza carta e penna, bensì con la macchina da presa a tracolla!

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