Swallow (2020)

Hunter e Richie sono una giovane coppia.
Richie proviene da una famiglia ricca, mentre Hunter è di umili origini.
I due vivono isolati in una splendida villa appena fuori New York.
Hunter sempre piú alienata dal resto del mondo e trascurata dal marito comincerá ad ingoiare una serie di oggetti.
Il picacismo è un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato dall’ingestione continuata nel tempo di sostanze non nutritive.
Il picacismo spesso si verifica in soggetti affetti da altri disturbi mentali, tra questi ci sono l’autismo, la disabilitá intellettiva e la schizofrenia.
Carlo Mirabella-Davis rinchiude la sua protagonista in una villa che sembra una gabbia dorata e costruisce un ritratto di giovane donna immersa in zuccherosi colori pastello.
Hunter è una vittima, subisce l’indiffrenza del marito, è succube dello snobismo economico dei suoceri, vive in un profondo stato di solitudine, non ha amiche nè amici se non quelli del marito.
Il picacismo che la affligge è probabilmente il bisogno inconscio di riempire un vuoto affettivo che ha origini sia nel rapporto con il marito, sia in quello con la madre.
“Swallow” affronta un disturbo psichico senza filtri, con sequenze estreme ed un gusto ricercatissimo nella realizzazione delle scene.
Tutto è elegante e perfetto, tale esasperante perfezione formale non è mai gratuita, ma sempre funzionale alla storia e soprattutto in contrasto con le azioni estreme della protagonista.
Questi sono indubbiamente i punti di forza di un thriller dell’anima che peró pecca nel non voler essere ambiguo, nell’avere il pedante bisogno di spiegare e giustificare i comportamenti di Hunter.
Mirabella-Davis ci descrive una donna in difficoltà, costretta in modo coatto ad un’asocialitá dilaniante, incapace di trovare in se stessa gli strumenti adatti a farla uscire da un passato problematico e da un presente claustrofobico.
Il regista non è però in grado di rendere criptiche le azioni di Hunter, che vengono spiegate dalle scene in cui va dalla psicoterapeuta.
Lo spettatore non perde mai la bussola, pur assistendo ad un incubo ha comunque i rassicuranti strumenti per comprendere cosa sta vivendo.
Non vi è simbolismo, nessuna allegoria in “Swallow”, il regista rende commerciale e accessibile il suo film che alla fine risulta essere un compitino pulito.
La costruzione della tensione è risaputa, l’ascesa alla follia della giovane, interpretata molto bene da Haley Bennett, non ha un’escalation avvincente, tutto viene rivelato troppo presto.
La visione di “Swallow” non fa male, chi guarda non soffre insieme ad Hunter.
Carlo Mirabella-Davis non ha fatto sua la lezione del Roman Polanski di “Repulsion” dove, come scrive Francesco Amodeo sul sito Cinefacts, la repulsione del titolo non sta solo a descrivere lo stato mentale della protagonista, ma delinea anche la crescente ostilitá che viene a crearsi nello spettatore, incapace di trovare un equilibrio tra l’empatia per l’insopportabile condizione della protagonista e le sue folli gesta…
Nel caso di “Swallow” la costruzione razionale degli avvenimenti appiattisce la visione.
L’unica intepretazione che Mirabella-Davis non fornisce sullo sviluppo del disturbo mentale del suo personaggio principale, è che probabilmente Hunter ingoia tutta una serie di oggetti che trova in casa quasi a voler annientare tutti quei beni che riempiono la sua vita, e che la stanno distruggendo seppellendola e schiacciandola sotto una coltre di inutile lusso.
Poco dolore.

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