Midway (2019)

Un Kolossal senza cuore e anima

L’atollo di Midway visto come trappola strategica e una delle più grandi vittorie tattiche nella storia dei conflitti mondiali: su questo verte il nuovo lavoro di Roland Emmerich, un nome una garanzia per scenografia ed effetti a sensazione. Saranno purtroppo proprio queste caratteristiche a rovinare un film nel quale l’aspetto più importante, cioè la sofferenza spirituale degli uomini di entrambe le fazioni (USA e Giappone), viene goffamente a mancare, prediligendo i climax da bloskbuster movie, quello su cui il regista ha basato la sua grande carriera da story teller sci fi ad alto profilo.

E si che le sequenze iniziali fanno sperare, grazie al repentino stacco tra il pacato ma ansiolitico dialogo dell’ammiraglio Layton e i futuri e algidi nemici, e l’attacco a sorpresa di Pearl Harbor coi relativi hype visivi e sonori, una magia digitale con la quale Emmerich bypassa i dinieghi di Hollywood e lo scarso budget, dando per i momenti a venire l’idea di varietà d’azione e racconto! La stessa musica al limite del dark, che presume gli imminenti pericoli, fa tornare in mente il Nolan di “Dunkirk” ma anche l’angoscia e il terrore di Denis Villeneuve. Saranno un’illusione sia il primo che il secondo aspetto, dato che l’arco narrativo della pellicola si trastullerà troppo a senso unico – quello a stelle e strisce – e la colonna sonora pian piano che si va avanti si trasformerà in un ritornello auto celebrativo a lieto fine!

Con “l’appalto” Midway il 64enne di Stoccarda compie una sorta di commemorazione tecnica, riproponendo in maniera sbalorditiva e verosimile ogni scena d’assalto e non, grazie a delle magistrali istantanee che passano da picchiata, risalita e virata in un attimo, esplosioni varie e conseguenti mareggiate, proiettili e rimbombi metallici, esaltati da un impeccabile sonoro, e riesposizioni d’epoca di bombardieri bimotore, caccia torpedinieri e incrociatori, ma pure portaerei, sottomarini e base Nautilius!

L’action è all’ordine del film, a discapito di una sceneggiatura al limite del grottesco, che dimentica i basilari bisogni che un dramma di tale portata invece necessita.

Se l’attacco infame subìto agli albori porta gli americani a una giusta sete d’orgoglio e rivalsa, è bensì improbabile un atteggiamento da supereroi distaccati, pronti a dare la vita senza lasciare sul campo un briciolo di paura o sensibilità d’animo. Se loro vengono rappresentati come impavidi combattenti, capaci di lasciare anche l’ultimo marinaio pur di vincere la battaglia e coesi nelle stanze dei bottoni, dall’altro lato l’ottusità nipponica è stramba in modo paritario, descrivendo esageratamente la fiducia bellica e tecnologica dei comandanti giapponesi come unica causa dell’autocitata polveriera finale e del proprio fallimento!

Il calore magistrale che Eastwood era riuscito a far trapelare nella combo “The Flags of our Father” e “Lettere da Iwo Jima” subisce qui un colpo mortale; lo stesso che investe “The Pacific”, dove paura, dramma e fratellanza di giovani mandati a morire traspare in ogni goccia di sangue e sudore!

Corresponsabile di queste shockanti gaffe un cast scelto proprio in base a personali esigenze di appariscenza e perciò predisposto ad obbedire e sottostare a simili magre, con un Aaron Eckhart/Jimmy Doolittle ormai accantonato dai mainstream hollywwodiani e a caccia di rivincite, il “Bull” di Dennis Quaid al solito sguaiatamente esaltato e il sex simbol Ed Skrein forzato all’inverosimile, abile a passare in un istante da pilota irriverente ribelle a paladino dei suoi uomini, pena un paio di pugni sul tavolo e una frase a sensazione! Vedere l’accoglienza dei cinesi sui militari paracadutati, i voli bassi a caccia di gloria kamikaze e le frasi impettite, sigarette alla bocca, una volta catturati dai nemici, ci ricordano i cazzotti che Will Smith affibbiava agli alieni di turno!

Si salvano da questa grossolana complicità Patrick Wilson e Woody Harrelson, attori con la A maiuscola, che si distanziano da una scrittura così inadeguata, mantenendo il primo una calorosa recitazione, fatta di dubbi e spavento di chi non viene creduto sul futuro che sarà, e il secondo dando all’ammiraglio Nimitz una dignitosa postura, obbligatoria per chi ha il compito di risollevare una flotta decimata e decidere il da farsi.

Le incertezze sull’utilizzo dell’Enterprise inoltre non sono granchè sviluppate e la battaglia dietro le scrivanie a colpi di crittografia e decifratori ha un solo vincitore fin da subito. L’ossequio verso il nemico arriva solamente nella nella resa finale e nei titoli di coda, ma ormai è troppo tardi per recuperare uno sgradevole kolossal che si dimentica di emozionare e sensibilizzare!

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