Dolemite is My Name (2019)

Il successo di un underdog nell’America anni 70

La vera storia di Rudy Ray Moore, ex artista mediocre, intrattenitore, presentatore e pseudo cabarettista di locali e “vice direttore” in un negozio di dischi, e poi superstar per la “plebe di colore”, viene raccontata dall’ennesima e azzeccata distribuzione Netflix, in una divertente commedia musicale di Craig Brewer.

Il regista dirige una sceneggiatura goliardica e fascinosa, scritta in combo dalla famigerata coppia Scott Alexander e Larry Karaszewski, splendidi story teller dal grandioso curriculum (Man on The Moon, Larry Flynt – Oltre lo Scandalo, Ed Wood, Big Eyes), maestri nell’ergere a mito i protagonisti dei loro copioni. Le frasi ad effetto dei testi vengono elevate all’ennesima potenza da uno straordinario Eddie Murphy, ormai svestitosi da comico anti yuppies dei tempi andati e divenuto un meraviglioso attore da commedia grigia, dando al suo Rudy una forza d’animo stratosferica e facendo trasparire la speranza che un underdog mai domo e sempre prodigo di risorse deve avere per non cadere definitivamente in disgrazia!

Dopo 15 anni Brewer ritorna dietro la macchina da presa per “aiutare” ancora una volta il suo eroe a scavare dai bassifondi di una discutibile esistenza, bussando porte in continuazione ed esplorando ogni espediente pur di ottenere la fama, soprattutto intrinseca. Se il Djay di Hustle & Flow – il Colore della Musica supera la malasorte con grinta e forza recondita, subendo però anche colpi bassi che ne influenzeranno l’umore, qui il nostro Moore manterrà sempre un ghigno propositivo, investendo in modo genuino e leale la propria dote per gli altri, neri ultimi e repressi in una Los Angeles spaccata tra benessere e depressione.

L’arte di arrangiarsi di Rudy subisce il picco quando un senzatetto lo colpirà con rime ad effetto, spronandolo a ripeterle in pubblico e creando il personaggio teatrale di Dolemite, che di lì a poco si innalzerà a paladino degli iellati di quartiere, ognuno dei quali in possesso del disco illegale coi versi sgarbati e truculenti del protagonista, comprato loscamente nei sobborghi limitrofi, fino a diventare una vera e propria icona, tanto da far gola alle case discografiche bianche e a società di produzione per improbabili Blaxploitation di karate e kung-fu trash!

Ad aumentare un’attrazione villana e offensiva contribuiranno anche i look quasi da gangster alla Frank Lucas e la schiera irriverente di portaborse al suo fianco.

Spassose e significative sono anche le performance delle stelle di supporto, i cui piccoli ruoli (se non camei) servono a dividere l’arco narrativo nelle fasi principali della pellicola, che portano Dolemite dapprima a ricevere numerose chiusure alle radio (Snoop Dogg) nel periodo degli sberleffi sul palco di Ben Taylor (Craig Robinson) e porte sbattute in faccia, a trovare poi le persone giuste per imbastire addirittura un film (Keegan-Michael Key e un fantastico Wesley Snipes), a riaccendere la speranza dopo i rifiuti per la distribuzione (Chris Rock) fino a trovare l’accordo definitivo (Bob Odenkirk) per sfoggiare in Cadillac verso un cinema di serie A.

Non importa se l’affitto della sala sia a proprie spese, ciò che conta è il successo, vedere file e file di gente e poveri estromessi dalla vita attendere il loro mito di strada che ha sbarcato il lunario, sollevando perciò un insolente grido comune alla faccia dell’ipocrisia borghese. A fare da contorno a questo simpatico one man show Marvin Gaye, Sly & The Family Stone, Booker T e tanti altri, locali strip e dj scapestrati, abbigliamenti d’epoca e molta goliardia! Trucchi, costumi e scenografia alzano il tenore di un film bello e divertente, lontano dai paragoni coi fratelli Blues ma che al pari di essi ci fa ricordare come basti poco per vivere felici!

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