Cena con Delitto (2019)

Un mix di Altman e Agatha Christie per un giallo che diventa commedia

Rian Johnson devia di 360° la propria arte in regia e scrittura cinematografica, passando dalla coraggiosa ma poco fortunata esperienza galattica di Star Wars: Gli Ultimi Jedi, nella quale tenta di “originalizzare” un prodotto ormai saturo, a un giallo in pieno stile Agatha Christie, cercando anche qui di renderlo personalizzato, inserendo svariati diversivi nella sceneggiatura.

In Cena con Delitto, osannato al Festival di Toronto, la trama si basa sulla morte improvvisa e misteriosa di Harlan Thrombey, ricco patriarca di una famiglia allargata e famoso per i suoi romanzi (gialli anch’essi), avvenuta in circostanze tutt’altro che chiare appena dopo le celebrazioni per il suo 85mo compleanno, quando dunque tutti i suoi parenti e gli inservienti avrebbero potuto liberarsi di lui, la cui gigantesca eredità faceva gola a chiunque.

Il vecchio tycoon ancora lucido, bizzoso e rancoroso verso la parentela, restio in ogni modo a lasciare i suoi averi a congiunti poco di buono, quest’ultimi a battersi a suon di cattiverie e rinfacci per dimostrare gli uni verso gli altri di meritare qualcosa in più, vecchie faide che i soldi fanno riemergere, la location, una meravigliosa casa sperduta in un antico distretto di South Boston tra alberi e verde, l’amata e fidata badante infermiera e un detective istrionico ad indagare per smascherare l’arcano e palesare il colpevole di un’investigazione corale: c’è un po’ tutto in questa pellicola, da Assassinio sul Nilo all’Orient Express fino ad Osage County e Tracy Letts, ma anche molto Altman!

Johnson quindi, per non perdersi in paragoni esagerati e impossibili da appaiare, tenta una vorticosa virata per trasformare un prodotto con basi solide, un drama/thriller familiare e collettivo, in una sottile commedia, esorcizzando pertanto la tragedia – l’odio tra i superstiti più che la morte di per sé del capofamiglia – con un’infinità di dialoghi molto british e uno humor al limite del truculento. Il suo scopo è dare autenticità e innovazione a una cosa altresì poco originale e attuale, assente da decenni negli archivi d’elite di Hollywood.

Tutto ciò riesce grazie anche all’abilità del regista di trattare in passato simili combinazioni, portando la sua opera a divertire, più che a pensare e ragionare sui risvolti e le sorprese del racconto stesso il quale, per il discorso appena fatto, non regge assolutamente il peso dei tempi andati, sfiorando solamente tematiche attuali, tipo discriminazione razziale ed emigrazione.

Manca infatti completamente la tensione emotiva dei predecessori a firma Christie, nei quali non era assente nemmeno svago e spasso, e i colpi di scena scaturiti da errori dei (presunti) responsabili non creano pathos; lo stesso sermone finale del poliziotto è prolisso e arduo da seguire. Se il confronto da fare è con Gosford Park, difetta invece la sagacia nel rendere paritario il nutrito gruppo di star, restituendo ad ogni personaggio, ciascuno anzi dotato di notevole attrattiva, il riguardo che merita. Qui invece sono un sorprendentemente goliardico detective Daniel Craig che fa il verso a Ustinov e Albert Finney e l’eroina Marta di Ana de Armas ad ergersi a uniche figure di spicco ai quali appigliarsi e per i quali fare il tifo. Poco sfruttato il talento di un campione come Michael Shannon o quello della sempre valida Toni Collette, mentre il rampollo di Chris Evans si fa sopraffare stupidamente dopo aver dato qualche segnale intrigante; i restanti sono accantonati a semplici comparse.

Tutto si può perciò affermare su questo lavoro tranne che non sia originale ed eccentrico, dato che porta la tristezza del soggetto, basato su forti rivalse e dolorosi rancori, verso un’inaspettata ilarità di fondo. Con la stessa lunghezza d’onda lo dobbiamo nondimeno discostare da ciò per cui è stato probabilmente partorito e pensato, catalogandolo come una leggerissima commedia nera anziché un solido giallo d’autore!

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