Il Collezionista di Carte (2021)

La rivalsa sociale sul tavolo da poker

Piccolo ma ennesimo capolavoro per Paul Schrader questo The Card Counter, nel quale l’attempato ma tuttora ispirato artista cinefilo dà saggio delle enormi peculiarità in dote, riuscendo nelle quasi due ore di proiezione a mantenere costantemente un’essenza thriller ansiolitica prossima alla deflagrazione!

Scontata anche la firma nella sceneggiatura, lui scrittore tra i più grandi di sempre, e l’amichevole partecipazione in produzione di Martin Scorsese, interessato al prodotto e omaggiato in più giri di cinepresa a sottofondo silenzioso.

I dialoghi interessano e attraggono benchè spesso preferiscano il non detto e si nascondano dietro lunghissimi sospiri intrinsechi, che attanagliano la storia misteriosa del protagonista, un eccitato e stimolato Oscar Isaac, perfetto nel dare al suo William Tell – nomen omen – una continua aurea di enigmatica imperscrutabilità.

Dopo dieci anni di prigionia infatti ritorna libero con l’unico scopo di assecondare le proprie abilità nel contare le carte e sfruttare la calma interiore, virtù acquisite dietro le sbarre leggendo Marco Aurelio e tracciando ogni segno da Poker, Black Jack e quant’altro gli permetta di sbancare casinò!

Ciò che però lo sprona in maniera recondita è altresì vendicarsi di chi gli ha rovinato la vita, addossando a lui e i suoi ex commilitoni la totalità delle colpe sulle torture di Abu Ghraib in epoca militare. Ad aiutarlo, stimolarlo e convincerlo a compiere tale missione un giovane sbucato dal nulla, anch’esso coinvolto nella vendetta per motivi personali/familiari, che darà inoltre a Tell la possibilità di redimersi come uomo.

Tye Sheridan e Tiffany Haddish accompagnano il protagonista durante le cavalcate on the road a caccia di tornei, esaltando tre personalità sì diverse ma infine eguali nell’appaiarsi e creare appeal, lei straordinaria nella sensualità comedy e finanziatrice per poste più alte. Fra le righe poi, appare l’alone di “infamità” velata di Willem Dafoe, maggiore malvagio in tempi di guerra e oggi distinto istruttore nei convegni di polizia!

Il film di Schrader non si adagia nelle allettanti peculiarità di Isaac/Tell, che potrebbero da sole bastare per girare una pellicola biografica scorrevole, sfruttando la genialità carte in mano e spiegando tecnicamente i metodi utilizzati per acquisirla, così come concentrarsi sulla vita carceraria riprendendo poi i motivi che lo hanno spinto a scegliere una fase quieta, riflessiva e distensiva anziché proseguire le violente indoli che consentivano ai prigionieri in affidamento a parlare sotto tortura.

No, il regista minimizza tutto ciò, lo accenna e ci porta in uno step successivo, quello delle lacerazioni d’animo a seguito di tali traumi, riportando in alto ma sempre tacitamente le colpe introspettive dei reduci e la loro ossessiva aspirazione a redimersi, l’incapacità a relazionarsi ancora con gli altri, sesso debole in primis, e il totale tradimento della società americana, troppo spesso prodiga nel procacciare aguzzini prima per rinnegarli dopo, mollandoli a vagare verso un’esistenza ormai compromessa.

Questo viene fatto grazie a una regia eccellente, che appunto rinuncia a delucidare lo schema narrativo della pellicola, ma si avvale bensì di inquadrature strette, piani in sequenza laconici e musiche dark e irrequiete dei Portishead, cedendo al poker lo strumento per riabilitare la storia morale di Tell, passato – come nella vita – da puntate esigue, vincite scarne e abbandoni quando c’è da combattere, ad andare all in e giocarsi tutto ciò che la sua anima possiede ancora.

Impossibile non trovare simmetrie col Travis Bickle di Taxi Driver, appaiato a William nell’oramai incurabile senso di implosione, e inoltre accoppiati ambedue dal desiderio tormentoso di esplodere colpi verso gli inganni della comunità yankee, responsabile della loro latente e insanabile frustrazione spirituale, nel primo caso sotto forma di bullismo da strada e qui con un allegorico fanatismo al tavolo verde.

Schrader sgancia un’ulteriore bomba nei confronti della civiltà americana, con quella sublime classe che ne ha fatto un luminare cineasta sui generis, disincantando a modo suo e in maniera romantica ma cupa e tribolata una pellicola che rasenta la perfezione come denuncia sociale.

Appare dunque evidente chi inganna e chi subisce, chi si pulisce la coscienza trovando capri espiatori e chi paga il conto, chi sono le mele marce e chi i subordinati, e chi, purtroppo, rimarrà al proprio posto continuando a mistificare e chi invece salderà colpe non sue emarginandosi dalla collettività!

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