Infinite (2021)

Talento sprecato per un thriller fantascientifico banale

Antoine Fuqua e Mark Wahlberg sono i due nomi altisonanti per un progetto che però non convince a pieno.

In Infinite infatti, il talentuoso e poliedrico direttore d’orchestra cede al muscoloso attore una parte che alla fine delle riprese non gli rende giustizia e non permette di vedere quella stoffa performante spesso decisiva per innalzarne dote ed estro e aumentare l’appeal dei film in cui si cimenta.

Il peccato è ancora più preponderante se si pensa che il suo alter ego nella pellicola prende le sembianze di Chiwetel Ejiofor!

E si che lo start primordiale dà speranze eccome, grazie all’eccentrica ed eccitante regia del maestro in camera, che consente lo sbalzo temporale fra il 1985 e il 2020, nel quale si passa da un eccezionale salto nel vuoto di un uomo in Ferrari per evitare la cattura, ai problemi psicofisici e lavorativi di un altro nel presente, impossibilitato a staccarsi da una passato fatto di schizofrenia e violenza!

La trait d’union che unisce i due frame consiste per l’appunto in ciò che sta dentro la mente di Evan, procacciatrice di katane per ottenere farmaci “calmanti” ma ignara di cosa gli sia successo o abbia fatto nei tempi andati e di quel che debba fare nel futuro!

Difatti egli è uno degli esseri speciali atti a migliorare il prosieguo dell’esistenza, dovendo perciò combattere con la parte avversa, un gruppo adibito alla distruzione dell’umanità per interrompere la rinascita dopo la morte.

Uno sci fi dunque dai temi gagliardi e appassionanti, nei quali si punta molto sulla vita passata dell’Evan/Wahlberg, al limite dello stralunato quando periodicamente scopre le molteplici capacità fisico/cerebrali in proprio possesso, decisive per garantire all’intero universo abitato la sopravvivenza!

La narrazione è sfortunatamente troppo scorrevole e scontata, e chi siano i buoni e i cattivi appare chiaro sin dall’inizio; la cadenza con cui Fuqua procede poi è simile a quella utilizzata nei lungometraggi Marvel, nei quali la “machomania” è padrona del destino della storia e dove gli effetti speciali annebbiano e offuscano l’estro in regia.

Si evita – grave errore – inoltre di “alleggerire” la sceneggiatura con espedienti comedy, utili in tali casi ad umanizzare l’animo degli interpreti, sebbene sia chiara sin dall’inizio l’ortodossia delle due fazioni!

Per questo e come detto prima sembrano sprecati innesti così capaci in recitazione, benchè sia Wahlberg ed Ejiofor riescano benissimo nello scopo di slegare e dissociare la psiche di Evan e Bathrust, heroe and villain agli antipodi, col primo tuttavia troppo spesso trattenuto nelle esplosioni da un copione banale e la sua nemesi intrigante ed attraente nel fascino acculturato ma eccessivamente propenso al suicidio.

Fuqua per salvare la baracca si affida al mestiere, facendo il verso a se stesso (The Equalizer) quando ripropone l’antieroe genialoide dall’oscuro trascorso che imperterrito e diabolico ritorna, a Nolan, giocando con costanti dèjà vu e scherzi temporali della ragione ed infine ai combattimenti sovrumani a guida asiatica, per innalzare ed appaiare come in Matrix il misticismo alla super potenza.

Un’occasione senza dubbio persa quest’opera, visto che di thriller c’è ben poco, la tensione non sale a causa di un arco narrativo sempre sottinteso e l’invadenza della scenografia sconfigge il talento di Fuqua, mai come stavolta sprecato e stuprato da una sceneggiatura illogica e avara di sfumature!

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