Georgetown (2020)

Ambizione Ossessione

Con una storia incredibile ma vera Christoph Waltz debutta alla regia, ritagliandosi il ruolo perfetto per l’acting da commedia grigia che lo ha reso già celebre nelle ancor poche ma iconiche performance a tinte stars and stripes.

E’ un articolo del New York Times a spronare la scrittura di David Auburn e permettere all’istrionico cittadino tedesco nato in Austria di dominare il soggetto di “Georgetown”, tratto dal particolare amore tra un uomo ambizioso e arrivista, natio della Germania ma residente nella nicchia di Washington, e la sua anziana e illustre moglie, scrittrice rinomata e frequentatrice dei salotti vip alla veneranda età di 91 anni.

Se non si trattasse di accadimenti alla fine drammatici e reali il lavoro in questione andrebbe facilmente annoverato nella black comedy, più nello stile dei terribili Coen ma in modo prettamente garbato, sobrio e parsimonioso, piuttosto che la smania e ansia alla Paul Thomas Anderson o l’esplosione violenta di Tarantino.

Tutto ciò ha ovviamente a che fare con la classe e raffinatezza quasi manieristica del novello regista nonché straordinario attore, che si avvale di un mostro sacro quale Vanessa Redgrave al suo fianco per spopolare la scena dall’inizio alla fine, quando la conclusione della pellicola avrà il sapore agrodolce di qualunque lungometraggio ben riuscito, catapultando inoltre lo spettatore a combattergli appaiato verso una sorta di lotta di classe e razzismo sociale, che porterà il suo Ulrich Mott a scalare gerarchie originariamente impossibili per salire nel trono maximo, fatto di popolarità internazionale e diplomatica.

Qualunque mezzo è valido per portare a casa l’impresa, iniziando ad intrufolarsi con finti badge nelle cene di gala e comizi, dove conquistare la fiducia, oltre che dell’attempata consorte, anche dei magnati dell’industria e politica estera, per poi adeguarsi ad ogni tipo di condizione domestica e lavorativa, fino a sfruttare persino una sessualità logicamente ambigua e distorta, con la quale ottenere tutti i lasciapassare per immettersi dentro i più impensabili posti di comando, intelligence, ONG e infine finanche rappresaglie civili o guerre vere e proprie. Se poi tutto questo sia vero o costituisca solo fumo negli occhi verso se stesso, coniuge o chi assiste non fa nulla, l’importante è non rendersene conto, pena fare i conti col lato oscuro e sconfitto dell’arrampicatore gentiluomo.

Ulrich non finge nel corteggiare l’improbabile partner, ma cerca realmente ciò di cui abbisogna, ovvero sia la fiducia di chi ad una scala e livello più elevato lo può mettere in condizione di esplorare le sue infinite risorse, partendo dal basso più estremo, per arrivare poi a fronteggiare le discrezioni di chi risiede a un piano collettivo nettamente più progredito. Cameriere, stagista, maggiordomo, casalingo, accompagnatore o commensale poco cambia, per arrivare all’intento niente si rifiuta, e i meravigliosi occhioni colmi di soddisfazione e fierezza della tuttora magnifica Vanessa/Elsa lo stanno a rappresentare.

La misteriosa morte di quest’ultima, uccisa nelle propria abitazione, sposta l’arco narrativo in una altrettanto interessante fase noir, nonostante ulteriori sospettati siano difficili da individuare.

Anche qui la recitazione di Waltz si dimostra calzante a pennello con la nuova versione che sta prendendo corpo, e la sua interpretazione guadagna qui quell’hype da prodotto mistery utile ad accrescere pathos e sospetto, conservando però gli ironici ed eccelsi canoni standard che in passato hanno ammaliato i vari Gilliam, Anderson, Tarantino, Polanski, Burton, Payne e Mendes, ergendo il personaggio Ulrich a mito come i suoi predecessori.

La stessa e leggendaria Annette Bening rimane in ombra di fronte a tanta lucentezza, e nel momento in cui deve detonare la sua frustrazione verso l’impostore (?) preferisce lasciargli ancora la ribalta, masticando rabbia interiore e facendosi da parte.

Promossa dunque la prima opera dietro la cinepresa di Waltz, e non poteva essere altrimenti allorquando M. Janet Hill ed Erica Steinberg gliela proposero in tempi non sospetti, individuando nel tedesco dall’animo candido il mattatore di Mister Mott. Lui, dal canto suo, coadiuvato da dei dialoghi prettamente intrinsechi e teatrali, che come detto hanno lo scopo di far emergere la bravura della star nell’introspezione e intimismo da caratterista d’elite, supera così l’ennesima prova d’autore, grazie alla quale anche un lungometraggio prettamente semplice e senza fronzoli arriva brillantemente allo scopo!

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