Favolacce (2020)

Roma.
A sud del Grande Raccordo Anulare e ad est della Pontina si trova il quartiere Spinaceto.
In una serie di nuove costruzioni vivono una manciata di famiglie piccolo borghesi cosi come non lontano da esse abitano in prefabbricati e roulotte un manipolo di disadattati.
I fratelli D’ Innocenzo frammentano la narrazione, compongono un puzzle che mette alla prova e a disagio lo spettatore.
Nonostante la sua frammentarietà “Favolacce” è un’opera compiuta, dove tutti i personaggi suscitano lo stesso interesse.
Come ne ” Il Contagio”, il famoso romanzo di Walter Siti, i registi prosciugano la leggendaria “vitalitá” del popolo descritta in parecchi film, per loro come per Siti la periferia e la borgata romana sono microcosmi che testardamente si stanno adeguando ai dogmi borghesi.
Gli adulti sognano di vivere nel lusso, fingono solidarietá gli uni verso gli altri, in realtà l’ invidia sociale serpeggia prepotente tra di loro, i bambini sono le vittime sacrificali dei desideri malati dei genitori; sono i figli della violenza e come tali hanno solo lei per potersi ribellare, rimanendone però a loro volta schiacciati.
“Favolacce” soffoca tutto e tutti sotto una cappa di asfissiante pessimismo, sfigura l’etica delle immagini per sbatterci in faccia una realtá non accomodante.
Il film inizia con la famiglia di Elio Germano che guarda il telegiornale e ascolta con interesse quasi morboso la notizia di un padre che ha sterminato la sua famiglia, una scena che è quasi un presagio.
Damiano e Fabio D’Innocenzo mettendo su pellicola un’escalation di piccoli, grandi orrori quotidiani e ragionano su di un’ umanitá ormai abituata a vedere il dolore nei programmi televisivi.
Il dolore degli altri spiato in tv anestetizza quello personale, crea uno scollamento tra la quotidianitá dei personaggi e quella vista in televisione che sembra lontana ed irreale ma che invece è assolutamente simile a quella di chi sta seduto sul suo divano e guarda il telegiornale.
“Favolacce” inquieta, non lascia scampo, è un lungometraggio bello e cattivo sull’oscuritá della routine, con sequenze che mostrandoci le gesta brutali, sia fisiche che morali dei personaggi acquisisce una valenza pornografica indispensabile per raffigurare e non trasfigurare la realtá.
Per narrare queste storie di ordinario orrore i fratelli D’ Innocenzo fanno l’ esatto contrario di ciò che tanto cinema festivaliero di oggi fa; se quella tipologia di film prosciuga l’ espressivitá degli attori, usa per lo più le inquadrature fisse e relega i personaggi in spazi scenici claustrofobici, in “Favolacce” i movimenti di macchina sono elaborati, gli attori enfatizzano la loro espressivitá, largo è l’uso del rallenty, la fotografia rimanda a quella realizzata da Marco Onorato per “Reality” di Matteo Garrone e la colonna sonora fa da contrappunto a quasi tutte le scene.
Raggelante il testo del brano musicale scelto per i titoli di coda che rimarca il pessimismo dei due registi.
Un film sull’ineluttabilitá della morte e sulla sua paradossale valenza salvifica.

“O come t’inganni
Se pensi che gl’anni
Non hanno a finire
Bisogna morire
Bisogna morire
Bisogna morire
È un sogno la vita
Che par sí gradita
È breve il gioire
Bisogna morire
Bisogna morire
Bisogna morire
Non val medicina
Non giova la china
Non si può guarire
Bisogna morire
Bisogna morire
Bisogna morire
…”
(Rosemary Standley e Dom La Nena, “Passacaglia della vita”)

Scrivi un commento

Powered by WordPress | Web Concept by: Webplease