Every Breath You Take – Senza Respiro (2021)

Occasione sprecata per un thriller familiare interessante ma poco credibile

Uno psichiatra e la sua famiglia, già distrutti per la morte anni addietro del loro piccolo figlio, vengono travolti dal suicidio di una paziente da lui in cura, trattata con metodi non convenzionali e perciò secondo molti “spronata” a compiere il gesto estremo.

Alle polemiche mediatiche su una terapia troppo umana e tollerante anziché medica e frutto di un improvviso calo di clientela per il dottore, si aggiunge l’ambigua comparsa di un uomo, fratello della vittima, che d’improvviso si insinuerà nella vita di marito, moglie e figlia adolescente, innalzandone così tutti i rancori e le acredini che un passato cotanto drammatico ha in loro accresciuto.

Il clima thriller che si respira sin dall’inizio, l’ambientazione affascinante e una fotografia accurata sono ottimi viatici per seguire la pellicola a firma Vaughn Stein, perciò interessante e mai noiosa, grazie per di più alle assodate verve di un asso quale Casey Affleck, perfetto analista apparentemente calmo e rassegnato ma invece imploso nell’animo, e dei suoi partner in crime Michelle Monaghan e Sam Claflin, lei convincente donna in cerca di rivalse ma dallo sguardo triste e segnato e lui attraente giovane rampollo col quale evadere dalle latenti tensioni.

Stimolante e intrigante è il tema esposto fra medico e paziente durante le sedute psichiatriche, un rapporto curativo però non stereotipato che prevede dialoghi intrinsechi fra i due, l’assenza di farmaci e terapie più umanistiche che cliniche, per rendere intimistici i colloqui e incoraggiare poi il malato a reagire ed interloquire anche nel mondo reale!

Importante è altresì l’atteggiamento dato inizialmente dalla sceneggiatura allo psichiatra nonché docente universitario, probabilmente nascosto dietro al proprio universo per sopperire e sopravvivere a lutti e paure, allontanandosi così purtroppo dalle esigenze delle donne di casa, invece mai bisognose come in questo momento di un appoggio forte e maschile.

Due motivi talmente attuali che uniscono scienza sociale e psichiatria al crimine, vengono però subito accantonati per far spazio a un thriller psicologico familiare poco originale, nonostante ansia e tensione si percepiscono all’istante, sin da quando James appare nella storia per riconoscere il cadavere della sorella suicida, e senza dover in seguito ricorrere a particolari violenze efferate.

Purtroppo però, le premesse che dovrebbero scortare il film verso un finale tuttavia sorprendente finiscono per deludere.

Appare infatti quasi grottesco e scontato l’interesse che il ragazzo venuto dal nulla trasmette immediatamente alla figlia sì depressa, fragile e insicura ma perciò pure malfidata, e soprattutto a una mamma matura estremamente demoralizzata e sfiduciata.

Inoltre questa fulminea entrata in scena pone il ruolo del capofamiglia quasi inutile e imbarazzante, quando il suo ruolo nella società ne fa invece un uomo dalle spiccate potenzialità sociali e di raccordo fra persone.

Quindi le rese dei conti fra familiari buttate lì quasi per caso e per pochi istanti somigliano a dei tappabuchi che possano giustificare e rattoppare tradimenti e allontanamenti interiori.

Gli ottimi colpi di scena finali che cozzano con un arco narrativo centrale poco credibile e il mancato dibattito fra psichiatria umanitaria e chimica lasciano l’amaro in bocca e rendono quest’opera un’occasione sprecata!

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