Madres Paralelas (2021)

Janis e Ana sono due donne single che aspettano un figlio. Dopo un incontro in ospedale i loro destini saranno indissolubilmente legati.

“Le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale. Le donne sono la colonna vertebrale della societá” (Rita Levi Montalcini).

Almodóvar torna ad affrontare l’universo femminile che questa volta si fa la metafora degli spagnoli. Janis, la più adulta delle due protagoniste, attraverso il suo ostinato desiderio di dare una degna sepoltura agli antenati uccisi e gettati nelle fosse comuni, rappresenta quella parte della sua nazione che non ha dimenticato le sue origini e il dolore generato da una pagina nerissima della storia. Ana, molto più giovane di Janis, incarna invece quella fazione della Spagna post franchista, quella agiata e gender fluid, quella che dopo gli anni di dittatura si è lasciata travolgere dalla movida.
Almodóvar prosciuga il suo cinema, accantona la consueta e magistrale capacitá di alternare piani temporali differenti e costruisce un film lineare, percorso da un magma incandescente di emozioni. Con “Madres Paralelas”, il regista spagnolo è definitivamente riuscito a trovare il giusto equilibrio tra le sue opere più “fredde” ed interessate allo sviluppo della trama (“La mala educación”, “Gli abbracci spezzati”, “La pelle che abito”) e quelle piú “calde” che non tralasciavano di affrontare l’interioritá dei personaggi (“Volver”, “Julieta”, “Dolore e Gloria”).
Tutto è perfettamente “costruito” e tenuto sotto controllo ma il modo in cui i personaggi sono scritti crea un  profondo effetto di empatia.
Svariati sono i temi che si agitano tra le pieghe di “Madres Paralelas”: il passato che non può che influire sul presente, il concetto di famiglia non tradizionale,  la solidarietá femminile e la maternitá vista in maniera prismatica (madri che desiderano esserlo, madri incapaci di amare la propria prole, madri insicure, la madre terra che partorisce i cadaveri delle vittime della guerra). Almodóvar continua imperterrito a rivendicare l’autorialitá del suo cinema, lo fa affrontando ancora una volta tanti temi a lui cari e di nuovo le figure femminili che racconta sono potenti, mentre i maschi (c’è solo un uomo in questo film) sono deboli, propensi alla doppiezza e alla poligamia.
Se in molti film i riferimenti del regista erano da ricercare nelle sue passioni cinematografiche, mentre in “Julieta” risiedevano nella tragedia greca, in “Madres Paralelas” essi sono fortemente politici e sociologici. In “Suspiria” Luca Guadagnino e lo sceneggiatore David Kajganich hanno contaminato l’horror con chiari riferimenti al nazismo, all’olocausto e al movimento terroristico della RAF, Almodóvar ha invece infettato il suo melodramma con rimandi alla questione dei desaparecidos spagnoli. “Suspiria” ragionava sul male della storia che sarà per sempre dentro il singolo essere umano e su come l’uomo abbia insito in sè il male che è sempre pronto ad esplodere tramite la violenza ed il sangue, cosí da imporre un nuovo ordine socio-politico ( dalla recensione di “Suspiria” tratta da Lo specchio scuro), “Madres Paralelas” fa del male della storia uno spettro irrisolto, qualcosa da guardare in faccia, da dover conoscere profondamente per liberarsene (in una scena Janis rimprovera Ana di essere ignorante sulla storia del suo paese e la esorta ad acculturarsi cosí da poter scegliere da che parte stare). In entrambi i film vi è una sconvolgente riflessione sul bisogno della memoria come determinazione della realtá.
Impressionante come sempre il lavoro fatto da Almodóvar e dal suo cast tecnico sul colore delle scenografie, degli oggetti di scena e degli abiti degli interpreti. Egli sa perfettamente che i colori stimolano quella parte della psiche che è responsabile delle emozioni.
Pedro Almodóvar al ventiduesimo lungometraggio conferma che i suoi film hanno ormai la potenza dei grandi classici della storia del cinema e che pochi come lui sanno fare cinema cosí femminista.
Gustoso l’omaggio a Raffaella Carrà.
Grandiosa e dolente Penélope Cruz.

“We should all be feminists” (dal film)

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