Dune (2021)

Il tocco di Villeneuve su un caposaldo fantascientifico

Dopo Blade Runner, alla geniale visione di Denis Villeneuve viene affidata la ri-trasposizione sul grande schermo di un ulteriore cimelio sci-fi come Dune, senza dubbio più di nicchia vista l’impronta a marchio David Lynch, ma comunque capo saldo generazionale e sui generis delle lotte intestine fra pianeti e galassie, ereditando gli eccellenti precursori di metà secolo e anticipando poi la nouvelle vague tecnologico/digitale degli ultimi lustri.

Un cast stellare e motivato si adatta ai diktat di un talento simile, che benchè giovane e soltanto al decimo lungometraggio, è costante garanzia per i sodali invitati di hype, estro e soprattutto ruoli indimenticabili.

In questa “cover”, presentata alla Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il tocco magico del regista e sceneggiatore canadese lascia di stucco ancora una volta, e quel drammatico e ansiolitico clima delle eccellenti e precedenti imprese (La Donna che Canta, Enemy, Sicario e Arrival) appare tuttora come brezza latente nell’atmosfera.

L’epoca attuale aiuta inoltre una trama appositamente dark, grazie ad effetti speciali e costumi mastodontici e perfetti a riproporre in maniera più accurata e veritiera l’efferatezza degli Harkonnen, la nobiltà Atreides e le magnanimi resilienze dei Fremen.

Eccezionali e utili alla causa poi la splendida luce di Greig Fraser, eccessiva quasi a trascinare lo spettatore all’interno della storia, e soprattutto il basilare montaggio di Joe Walker, due campioni di Hollywood senza i quali una produzione talmente colossale non avrebbe avuto modo di esistere.

Fondamentale e primaria fonte di angoscia e oscurità la musica del maestro Hans Zimmer, richiamato all’istante dopo Blade Runner 2049, essenziale quasi al pari della classica regia vigorosamente visiva, magnifica e onirica dell’estroso direttore d’orchestra, che con tali peculiarità entra nel mondo fantasy mantenendo però un’aurea propria che non rimandi all’universo Marvel o dei Supereroi.

La vicenda, nota, è quella del romanzo di Frank Herbert del 1965, nel quale l’imperatore, governatore di un futuristico mondo feudale, toglie il pregiato ed economicamente vitale pianeta Arrakis (Dune) al dominio dei crudeli Harkonnen, per affidarlo alla famiglia Atreides, capitanata dal duca Leto, il figlio del quale è per molti un prescelto dai poteri speciali. Lo scopo, nemmeno tanto velato, è scatenare una guerra interna fra le due casate.

Purtroppo nonostante l’ovvia lunghezza da kolossal, gli adepti della prima ora neanche stavolta rimangono soddisfatti, dato che l’opera di Herbert non viene portata a termine nella sua interezza.

Villeneuve lo sa, e a costo di sceneggiare una narrazione mozza rispetto alle 700 e oltre pagine del libro, decide infatti di sacrificare la conoscenza completa di gran parte dei personaggi per dedicarsi quasi esclusivamente all’introspezione del Paul di Timothèe Chalamet, l’eletto a cui affidare l’umore del film e la scoperta di se stesso e delle proprie virtù.

Così facendo, empatia e interesse per le sorti di straordinari interpreti quali Oscar Isaac, Rebecca Ferguson, Josh Brolin, Charlotte Rampling, Dave Bautista e Zendaya scema prima di assistere alla loro ventura, a differenza di Stellan Skarsgard e Javier Barden, iconici nell’indimenticabile postura adattata!

Scrivi un commento

Powered by WordPress | Web Concept by: Webplease