L’Ombra delle Spie (2021)

L’ombra nucleare

Ennesima e riuscita spy story da Guerra Fredda, ambientata durante l’epoca della Cortina di Ferro fra la gelida Russia anni 60 e l’altrettanto fredda e glaciale – umanamente parlando – Londra dell’MI6, irreprensibile servizio segreto a caccia di agenti ombra per carpire i misteri reconditi del terribile nemico sovietico, il tutto ovviamente in combutta con gli americani.

La vicenda, vera, triste e malinconica ma anche prodiga e nobile, è quella del più grande disertore di sempre al soldo di Kruscev, il colonnello ed alto ufficiale del Direttorato principale per l’Informazione delle Forze armate Oleg Penkovsky, che resosi conto della deriva apocalittica a cui il suo Presidente stava arrivando, decise di procedere in avanscoperta e rivelare all’occidente i piani top secret per il dispiegamento dei missili balistici a Cuba.

Il suo socio in affari è Greville Wynne, insospettabile imprenditore col vizio dell’alcool, venditore ed esperto manipolatore e perciò reclutato dall’Intelligence britannica per il contrabbando di informazioni clandestine.

La firma di L’Ombra delle Spie è del drammaturgo inglese Dominic Cooke, che dirige perfettamente una pietra miliare biografica della storia contemporanea, dando il giusto risalto al sacrificio di due uomini che hanno concorso a modificare gli eventi, evitando una catastrofica battaglia nucleare che la vergognosa diatriba mediatica sugli armamenti fra Usa e Urss era a un passo dal generare.

La coppia si conosce, studia e scruta prima di concedersi l’una all’altra, e il rapporto d’amicizia che si crea non è altro che un segno di speranza e riappacificazione fra est e ovest, due mondi totalmente distinti ma entrambi lacerati dal post secondo conflitto mondiale, l’uno chiuso dalle perpetue repressioni comuniste, e causa di un clima diffidente e sospettoso, dove ogni sguardo è indiscreto, i respiri assordanti e i rumori rimbombanti, e l’altro liberale ed emancipato ma offuscato dalla costante predominanza a stelle e strisce, terra sì di fratellanza ma pure di comando e subordinazione!

Il pathos che crea un thriller movie, coi continui climax durante i furti di immagini prima e gli scambi fra corrieri dopo, si associa alla tragedia che il contesto procura, grazie a degli azzeccati diversivi che aboliscono qualunque differenza fra le due realtà, ambedue vittime innocenti al servizio di despoti e unite nella paura che le drammatiche notizie passate alla radio provocano.

Se Benedict Cumberbatch conferma il proprio spessore nell’ennesima prova d’autore dove guerra, spionaggio e genialità si uniscono, dando al suo Greville l’alone di eroe fragile, marito e padre difettoso ma infine d’animo aristocratico, fantastica risulta altresì la performance di Merab Ninidze, coinvolgente attore georgiano già apprezzato in passato specialmente in Nowhere in Africa e assoldato poi sopra il ponte di Glienicke nientemeno che da Spielberg.

La loro straordinaria recitazione fa trasudare i continui e progressivi tormenti interiori di chi non può tornare più indietro ma sogna comunque un futuro di quiete lontano dalle repressioni e al fianco di famiglie ignare, tenute all’oscuro e per questo a rischio implosione!

L’arco narrativo che individua un solo cattivo e sembra di parte e a senso unico, omettendo il “democratico” schieramento missilistico americano in Turchia, UK ed Italia, recupera alla grande questa pecca elevando a mefistofelico procacciatore di morte il ruolo dell’ “assoldatore” occidentale, magnanime nel promettere protezioni e garanzie ma poi disinibito a lavarsi le mani a risultato ottenuto, abbandonando il suo uomo nello sprofondo degli abissi per tutto il resto della propria esistenza!

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