Motherless Brooklyn (2019)

Un Noir senza brivido

Quasi vent’anni dopo “Tentazioni d’Amore”, Edward Norton torna alla regia, raccontando le gesta di Lionel Essrog, investigatore scaltro ma problematico, in una New York anni 50 preda di corruzione, decadimento e immoralità. Per farlo prende spunto dall’ottimo romanzo di Jonathan Lethem “Motherless Brooklyn”, scrivendone pure la sceneggiatura e producendo il film, colmo di stelle di prima grandezza.

Al pari dell’unico predecessore dietro la macchina da presa, un vero flop, anche qui i risultati non sono soddisfacenti, proprio per il modo di dirigere gli accadimenti, affidandosi ai trucchi del mestiere, tipo l’impeccabile recitazione degli artisti in questione, una fotografia splendida e fioca che ricorda l’epoca in maniera sublime, dando la sensazione di bianco e nero artificiosamente colorato, la scenografia che “veste” uomini e luoghi coerentemente agli eventi e una bellissima colonna sonora originale di Daniel Pemberton, che accompagna le (troppe) due ore e mezza di proiezione con alone di drammaticità e rimpianto.

Sono esattamente queste caratteristiche purtroppo ad adagiare il film, togliendogli le particolarità sui generis che resero celebri i noir polizieschi di quell’era, quando Otto Preminger produceva azione, pathos e terrore con primi piani o dettagli intimistici che incarnavano le emozioni dei Dana Andrews di turno “parlando in silenzio”!

I dialoghi scritti da Norton sono eccessivi ed esaltano il gruppone di divi a dare il meglio di sé, rendendo ogni protagonista parte integrante del copione, a discapito però di soggetto e trama, investiti e soffocati così da una storia che diventa prolissa e perciò quasi subito banale e facile da intuire, capendo fin dalle prime battute quali siano i cattivi e gli intrallazzi a cui puntano.

Ottimi dunque il mentore Frank Minna di Bruce Willis e la bella, impavida e bisognosa di giustizia Laura di Gugu Mbatha-Raw, così come il super cattivo e corrotto politicante Alec Baldwin/Moses Randolph e il viscido Pais/Lieberman, oppure il tormentato Paul di Willem Dafoe, l’arrivista Cannavale/Vermonte e il trombettista Wynton Marsalis, interpretato da un mai banale Michael K. Williams.

Lo stesso Norton primeggia e sfodera l’ennesima magia di una grande carriera attoriale, raffigurando il suo detective – affetto dalla sindrome di Tourette – col verso del Brian di “The Score”.

La propria filmografia d’altronde narra di molteplici parti rifiutate o accettate solo se ad hoc coi suoi standard recitativi, principale causa della recente e ripetuta assenza dalla scena e mancanza di continuità, che lo hanno portato perciò ad ottenere quasi sempre soddisfazioni personali ma a partecipare a numerosi fiaschi (“Fratelli in Erba”, “Stone” e “Collateral Beauty”) e a ricevere il successo esclusivamente per film corali e da co-protagonista, come nei “Moonrise Kingdom” e “Grand Budapest Hotel” di Wes Anderson oppure in “Birdman”!

Questo noir scialbo e senza brivido aggiunge dunque una tacca ulteriore ad un curriculum da big, e il suo personaggio verrà ricordato e amato al pari delle decine da lui già incarnati, lasciando però molti dubbi sulle capacità di Norton di unire l’anima da attore a quella di regista, se l’unico scopo cinematografico che si propone è quello di preferire luoghi e uomini allo scorrimento e svolgimento lineare di una storia!

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