Amsterdam (2022)

Uno spreco di risorse per un’opera troppo ambiziosa

David O. Russell tenta di sbarcare il lunario dopo una serie di piccole perle cinematografiche che hanno già fatto la storia della commedia hollywoodiana recente. Il suo piano, al nono lungometraggio ambizioso su dieci in meno di trent’anni, è riunire un clamoroso cast di superstar e virare vorticosamente attorno a un cinema crossover, che racchiuda in più di due ore cospirazioni politiche e spionaggio, dark comedy e una rivisitazione grottesca della Grande Guerra, annesse macchinazioni governative ed effetti invalidanti sui reduci, sia psichici che fisici.

Il fronte francese, i rifugi olandesi e la New York a stelle e strisce sono le location che fra 1918 e metà anni trenta accolgono Burt, Harold e Valerie, amici per la pelle, attorno a un arco narrativo nel quale l’ultimo scopo della triade sarà impedire un golpe che porti persino nella Terra dei Sogni dittature alla Hitler e Mussolini!

Già da questo mini riassunto si evince quanto complicato possa essere portare a termine un racconto del genere in modo ordinato e lineare, senza andare incontro a situazioni inconciliabili con la scorrevolezza della trama.

Il risultato difatti è catastrofico, e dovrebbe portare ad Amsterdam perdite milionarie a tre cifre, simili a quelle di altri prodotti girati bensì a meraviglia, penalizzati tuttavia dalla crisi post pandemica (West Side Story e The Last Duel su tutti). Qui invece lo spreco esagerato di risorse non coincide per nulla con un film pensato per strappare consensi e premi, ma che provoca altresì risposte negative sotto ogni punto di vista.

David O. Russell pecca infatti di presunzione, pensando di riuscire a dirigere in una narrazione così complessa campioni del calibro di Christian Bale, Robert De Niro, Rami Malek, Michael Shannon o Margot Robbie fra i tanti, senza pagare pegno in primis a livello di sceneggiatura, visto che ogni commensale che entra in scena forza all’esasperazione quei pochi minuti di pellicola a lui dedicati, ingarbugliando ancor di più un soggetto già anarchico ai massimi livelli.

La pacatezza di una scrittura umile alla Ryan Johnson sarebbe stata d’aiuto eccome, e una recitazione più british anziché feroce e aggressiva avrebbe generato la stessa empatia ottenuta dai vari Shannon, Craig, Norton, Curtis, Evans e Collette, e qui completamente assente. L’unica menzione d’onore la strappa il solitamente generoso Christian Bale, inserito sì anch’egli dentro una produzione fallimentare, ma che riesce a lasciare un segno iconico nel suo Burt Berendsen, pseudo medico e reduce invalido, la cui postura sempre eccentrica e stralunata tiene a galla il lungometraggio e vale da sola il prezzo del biglietto.

Quel che si imputa a O. Russell, oltre ad aver mancato l’omaggio ai classici di Agatha Christie nonostante i rimandi continui, è aver pure bucato ogni tipo di similitudine al genio di Wes Anderson, costantemente agganciato in ogni frame ma in modo assolutamente pacchiano, visto che le battute “colte” delle star qui in questione non fanno ridere e non provocano quei climax che hanno invece reso celebre il visionario cineasta texano.

Sgradevole poi una recitazione tanto libertina, approssimativa e spontanea, che pone l’attore sopra al regista e che spesso non nasconde spiacevoli ghigni neanche tanto velati durante le “performance” uno contro uno.

Una spy comedy dove oltre alla commedia manca pure lo spionaggio, e l’epoca storica pregna di cospirazioni post belliche viene rivisitata scomposta e troppo celermente, dato che si fa una fatica enorme a capire da quale stanza dei bottoni partano le trame segrete.

Non regge nemmeno la storia fraterna di amicizia, visto che anche qui si prova ad immettere un eccessivo mistero che confonde al pari della scombussolata cronologia sulla vita di Burt; infine, la voce fuori campo di Washington annoia piuttosto che accendere interesse!

David O. Russell esce perciò con le ossa rotte da un’opera che anziché il salto definitivo verso l’olimpo di Hollywood si rivela un boomerang che lo catapulta nel punto più basso della carriera, dal quale sarà difficile risalire. La sua brama di omaggiare e riunire il grande classico alla contemporaneità dei giorni nostri porta quindi ad una disfatta di proporzioni bibliche!

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