Omicidio nel West End (2022)

Una divertente commedia revival però priva di tensione

Tom George all’esordio sul grande schermo omaggia la Broadway e il cinema dei tempi andati elevando la magia di Agatha Christie nella Londra di metà secolo.

Omicidio nel West End ripercorre le gesta di una troupe cinematografica, capeggiata da Richard Attenborough, impegnata nell’adattamento di “Trappola per Topi”, che d’improvviso e progressivamente inizia a subire omicidi all’interno del mitico Ambassadors. Un ispettore e l’agente donna al suo seguito cominciano ad indagare le cause che potrebbero aver spinto uno di loro, magari per astio o invidia, a compiere i crimini!

L’introduzione lunghissima dei personaggi, uno stile grottesco e ironico e un’idea di fondo che punta ad empatizzare ogni commensale a discapito dell’azione, da un lato crea un prodotto avvincente con narrazione scorrevole, ma dall’altro pecca di incisività specialmente quando i due inquirenti dovrebbero aver trovato la quadra.

Il cast ispirato permette alla cinepresa di George di arrivare al suo scopo, e una recitazione stimolata e infervorata seppur leggera e mai invadente ammalia lo spirito di qualunque protagonista dentro una regia lineare e pacata.

Per questo la scrittura di Mark Chappell trae soddisfazione dall’ego, eccentricità e sbadataggine dei vari Kopernick (Adrien Brody), la cui voce fuoricampo risulta azzeccata, lo stesso Attemborough e due poliziotti fra le nuvole come gli Stoppard e Stalker di Sam Rockwell e Saoirse Roman, macchiette underdog da cineteca.

Belli i continui fotogrammi ravvicinati, che aiutano a farsi un pensiero sul plausibile killer e accrescere la bellezza anni 50 all’interno dei salotti bene del West End londinese. Stessa considerazione perciò va fatta per costumi ed effetti scenografici centrati, macchine, teatri e cinema elite ormai trapassati, all’interno di una fotografia edulcorata e luccicante, musicata dalla bella colonna sonora di Daniel Pemberton.

George sembra dunque quasi mettersi in disparte con una direzione artistica acerba e un po’ scolastica, influenzata in toto dai maestri del passato, lasciando che l’utente e il suo personaggio di riferimento interagiscano fra loro in modo virtuale, fin quando la “sorpresa” finale non sveli l’arcano e conceda uno stupore tutt’altro che ansiolitico da giallo noir bensì guascone da commedia ben costruita.

I dubbi e il pathos di trame vicine al crime vengono qui sostituite da un’avvincente comicità provocata dalla mancata fiducia che ogni interprete trasuda nel proprio modus operandi. Belle quindi le performance di altri nomi importanti invitati al banchetto quali David Oyelowo, Ruth Wilson e proprio Agatha Christie in persona (Shirley Anderson).

I riferimenti agli esemplari del genere ci sono eccome così pure quelli recenti alla Wes Anderson e Rian Johnson, dove lo humour inglese suadente, elegante e tragicomico sebbene dentro a racconti drammatici è costante sin dal lunghissimo prologo di presentazione.

Il più classico dei gialli è carente però in incisività, proprio perché come accennato più volte l’arma dell’ironia e uno stile nero ma troppo umoristico sono continui e progressivi in ogni frame della pellicola, che sì ripuliscono l’opera di noia ma tolgono all’arco narrativo ogni tipo di climax, portando inconsciamente chi segue ad avere persino compassione e indulgenza verso i cattivi di turno.

Nonostante ciò l’esordio di George non può non convincere, grazie alla precisa cura e ricerca dei dettagli, che arricchiscono artisticamente un lavoro visto e rivisto ma che intrinsecamente appare ricco di originalità.

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