The Good Nurse (2022)

Una storia di criminalità che vira sul sociale

Netflix prosegue nel filone di successo – almeno come ascolti – del true crime, basato sulla dannata psiche dei killer seriali, investendo una produzione azzeccata in The Good Nurse, truculento e ansiolitico real drama con due big di Hollywood come Jessica Chastain ed Eddie Redmayne.

Il danese Tobias Lindholm dirige la pellicola con un ritmo molto lento rispetto a un arco narrativo che vede progressivamente palesarsi una vera e propria carneficina di pazienti dentro gli ospedali, morti più che sospette che faranno dubitare sulla condotta degli infermieri, su tutti il nuovo assunto Charlie.

Il clima generale che si respira sin dall’avvio trasuda quel pathos che permette allo spettatore di seguire gli eventi con ansia e sospetto, ma lo scopo primordiale di questo lavoro, ratificato dal lunghissimo prologo di quasi un’ora e dieci, è esaltare il ruolo di madre coi pantaloni, che sacrifica tempo assieme alle proprie figlie per portare a casa stipendio e dare loro sostentamento, il tutto con una patologia cardiaca gravissima e di difficile cura: una parte calzata a pennello per la star nonchè novella premio Oscar.

Questo innalzare poi al massimo uno dei lavori più massacranti e ardimentosi che ci siano va a discapito di una storia che – va ricordato – tratta della pazzia intrinseca e inesplorata di un’omicida seriale!

Così facendo dunque, il ghigno in veste recondita di Redmayne rimane troppo a lungo in naftalina per far spazio ad Amy e alla sua passione di donna, madre e brava infermiera.

Se ciò deriva dalla voglia di artefare il libro di Charles Graeber e anteporre l’eroico modus operandi di un’impavida e onesta lavoratrice sociale alla brutalità delle gesta di Charles Cullen il risultato è apprezzabile. Se invece il regista voleva divagare per rendere sottintese le condotte del killer mai apertamente dimostrate ma infine confessate, sarebbe stato più opportuno resocontare la sua di cronologia storica anziché della bravissima protagonista femminile, che così facendo diventa il primario interesse del film!

Bisogna difatti attendere quasi l’ora e mezza di proiezione per trasbordare un dramma sociale al femminile in un thriller che riporti in orbita dei necessari climax polizieschi, che incastrino il colpevole dopo averne scavato a fondo nel suo passato.

Anche qui, ca va sans dire, a determinanti e angosciosi flashback e salti temporali sui trascorsi di Charles e i dubbi lasciati in dote a numerosi ex colleghi, si preferisce far emerge ancora la figura di Amy, promossa d’incanto ad investigatrice segugio, che sospettosa su eccessive dosi di insulina nei pazienti deceduti sostituisce inquirenti e direttori ospedalieri per far trionfare la giustizia.

D’altro canto però, pure la fiducia spropositata che riversa in Charlie così tanto da portarlo perfino ad accudire le figlie in sua assenza, risulta per nulla approfondita.

Peccato, perché un Redmayne ispirato che fra le righe sembra esplodere tutta la sua enigmaticità da un istante all’altro, indugia e viene trattenuto da una narrazione come detto a senso unico.

La lentezza con cui questo lavoro rapporta esclusivamente fatti umanitari e le scarse accelerazioni della seconda fase dedicata alle rese dei conti, servono perciò a far schierare l’utente da una parte sola, che veleggia quindi verso un film di importante impatto sociale anziché su un true crime thriller a 100 all’ora.

Non c’è dubbio perciò, che il “Good Nurse” del titolo si riferisca più all’operato altruistico dell’infermiere modello che alla velata ambiguità di un assassino seriale!

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