Falling – Storia di un Padre (2021)

Il primo gioiello di Viggo Mortensen

Non fallisce il debutto da regista di Viggo Mortensen, straordinario one man show e attore fra i migliori della sua generazione.

In Falling – Storia di un Padre, il versatile e stravagante campione newyorchese racconta dirigendo la macchina e scrivendo un’intensa sceneggiatura l’epopea dei Peterson, famiglia di metà secolo “guidata” dal cocciuto e bigotto Willis, moderato e repubblicano della prima ora e amante della campagna, costretto poi in vecchiaia a trasferirsi da suo figlio John e relativo compagno nella folkloristica e hippye California, lontana anni luce dai suoi canoni conservativi e perciò motivo di rancori, vecchi e inediti!

Mortensen cede ai suoi personaggi quell’intimismo focale che ha contraddistinto ogni sua performance davanti la cinepresa, mettendosi spesso da parte per lasciare spazio ai commensali presenti, che insieme, e in maniera quasi progressiva e unitaria, sono pronti a deflagrare e cadere.

Aiutato dalla grandezza di Laura Linney, mattatore di un cast pregevole – dove il prestigioso cameo a David Cronenberg sa tanto di omaggio interpersonale – e padrone della scena è comunque Lance Henriksen, che sveste i panni di caratterista di nicchia per indossare quelli da deus ex machina dell’intera pellicola, tessendo letteralmente le fila dell’arco narrativo e quelle riflesse della parentela allargata – convenzionale e non – che lo affianca.

La burbera postura di chi non vuole modernizzarsi sui tempi che corrono fa comunque tenerezza, specialmente perché, infondo, denota l’amore intrinseco e recondito verso i suoi e supera le continue lamentele e capricci.

Il novello regista preferisce quindi cedere al capo branco l’alone di supervisore familiare, nel presente allorquando “sogna” ancora l’indipendenza soggettiva e il comando altrui, e viaggiando poi con la telecamera a ritroso fra le due epoche, per risaltare una prima parte di vita dove l’escalation problematica sta per sopraggiungere, con l’astio padre/figlio/madre in rampa di lancio, e le intensificanti scoperte sui propri sensi artefici del cambiamento interiore e allontanamenti affettivi.

Mortensen passa eccome l’esame dietro la cinepresa, rinunciando almeno per più di metà film a focose rese dei conti eventualmente creatrici sì di bellissimi hype, vista la bravura attoriale dell’intera truppa, ma che allo stesso tempo non avrebbero consentito di interiorizzare i legami fra tutti i soggetti presenti.

Le piccole cose la faranno infatti da padrone, come l’amabile pazienza dei due figli verso il rude uomo, la comprensione del marito “di fatto” nemico giurato e finanche il dolce, affettuoso ma pure severo rapporto coi nipoti all’avanguardia o adottati, alla fine gli unici e intoccabili complici del patriarca.

La tempesta che sta per investire i Peterson, dopo averla solo accompagnata per decenni, viene pertanto visionata da Mortensen all’interno di travolgenti emozioni e sentimenti vigorosi, sebbene l’aurea di Willis sia costantemente fiancheggiata da sgradevoli sproloqui ed eccessi infiniti, la maggior parte dei quali contro la mai accettata omosessualità del primogenito.

Tutto questo prelude all’inevitabile conflitto finale, come detto sempre latente nell’aria, che provocherà scontri generazionali incandescenti ma anche occulte comprensioni a cui chi ama non può rinunciare.

Mortensen dona l’ennesimo saggio di polivalenza cinematografica, regalandoci una storia comune e usuale, nella quale la crudeltà di amori importanti ma incompresi diviene il cardine di una vita inappagata, e di quanto sia difficile rinunciare al proprio io per soddisfare le esigenze affettive altrui!

Scrivi un commento

Powered by WordPress | Web Concept by: Webplease