Zeros and Ones (2022)

In attesa dell’apocalisse

Un soldato americano scende nella Roma pandemica, deserta e isolata, maestosa ma spettrale, per una missione internazionale: uno scontro spionistico globale potrebbe infatti concludersi con attentati esplosivi dentro la Città del Vaticano. All’interno di scenari così disastrosi, JJ deve anche proteggere l’amore di una donna e salvaguardare il fratello ribelle torchiato per i troppi segreti reconditi.

La firma, da tradizione maledetta e arcana, è di Abel Ferrara, profondamente disponibile a lasciare briglia sciolte ad un eccentrico e camaleontico interprete come Ethan Hawke, sin dalla “confessione” iniziale gasato ed eccitato dalla partnership con l’iconico regista.

I due si sfidano ad armi pari, quelle di chi è capace a lasciare il proprio segno in un arco narrativo volutamente confuso, non convenzionale e privo di riferimenti logici.

Il direttore d’orchestra bombarda la scena con flashback e carrellate dinamiche ansiolitiche, scortate dallo sfondo di una Roma mai così misteriosa e buia, dove la maestosità dei suoi monumenti stavolta fa il paio con l’oscurità ed incertezza di vicoli tenebrosi ovvero periferici, luoghi di confessioni occulte, e i respiri affannosi equivalgono a paura e terrore.

Con questo modus operandi, l’alone di una nuova Guerra Fredda, dello spionaggio internazionale e di esecuzioni terroristiche permane costantemente nell’azione senza però invadere il film, al pari dell’interesse che tutti i soggetti presenti provocano in una cornice così dark: soldati americani, diplomazia cinese, santoni mediorientali, agenti segreti, agitatori, depistatori, CIA e KGB.

L’attore altresì si sdoppia fra la lucida, pragmatica e solida postura di JJ, un Jason Bourne di nicchia senza effetti speciali, e quella lisergica, esplosiva, rivoluzionaria e claustrofobica del fratello; una lezione recitativa senza precedenti!

All’introspezione psicologica dei lavori di Ferrara si unisce il dinamismo, l’ansia e la velocità di pensieri e movimenti di un action movie a tutti gli effetti, dove la pandemia serve a rendere distopica e surreale un’ambientazione invece veritiera e vissuta concretamente, e le mascherine a palesare la glaciale e agghiacciante verità di occhi pusillanimi.

Ogni angolo della Città Eterna presenta un uomo, un dubbio, un segreto e una soluzione, e i dialoghi con inglese approssimativo e cadenzato riportano agli interrogatori dei prigionieri di guerra!

Il conflitto è tutto interiore e le battaglie fra menti mefistofeliche a caccia di notizie da estorcere si affrontano con droghe, pozioni magiche ed iniezioni, seguite quindi da sogni, incubi e abbandono dell’anima verso ricordi passati ma pronti a ricomparire.

Hawke detta legge all’interno di cotanto mistero, spadroneggiando in largo e in lungo un improvvisato acting visivo, strillato e privo di ordinarietà, ma anche metafisico e introspettivo!

Ferrara spoglia la sua tanto amata Roma, spegnendone la luce e chiudendola alla vista umana, in modo da trasformare la colossale bellezza millenaria in una location sì mastodontica ma spettrale e desolata, così immensa nella sua grandezza quanto piccola per trovare riparo.

Il pessimismo latente nella psiche del regista si abbina a una trama che – as usual – lascia intenzionalmente dei buchi temporali e razionali, ma consente ad un’apodittica inquietudine di permeare nell’aria e cedere alla pellicola un costante clima terminale, in attesa che sulla terra si abbatta l’apocalisse!

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