The United States vs. Billie Holiday (2021)

Sesso, droga & Midnight Jazz

Con ingiustificato ritardo arriva il tanto atteso lungometraggio sugli eventi che afflissero la libertà psicofisica di Billie Holiday a fine anni 30, provocandone successivamente stress corporali che la portarono a morire. Sullo sfondo la terribile dipendenza dall’eroina e quella del sesso, abusata quest’ultima per lo più per arrivare alla prima!

Tema principale e colonna sonora per l’intera durata della proiezione l’iconica “Strange Fruit”, canzone slogan d’accusa e protesta verso i linciaggi del mainstream a stelle e strisce sulle minoranze di colore, e per cui si è tuttora in attesa di legge, vietata e tenuta nell’ombra dagli agenti governativi per paura di repressioni sociali, tanto da infiltrare nella vita della donna amanti e spasimanti fittizi.

Da qui si capisce l’impatto mediatico di una delle “rockstar” ante litteram per antonomasia, flagellata da tormenti interiori per un passato bambinesco e adolescenziale spoglio, e sfruttata dall’uomo padrone per ottenere sfizi plurimi, pegni da pagare in cambio dei libidinosi e distruttivi abusi che ne deteriorarono l’animo.

Una decade dopo il bellissimo Precious, ritorna a far parlare di sé la regia di Lee Daniels, che appoggiandosi sugli scritti di Johann Hari accompagna le gesta memorabili della cantante Andra Day con una direzione artistica sì pacata, per assecondare l’estro della novella star, in lizza nei maggiori premi hollywoodiani, ma pure originale e dinamica, viaggiando spesso nel tempo per rimembrare un martirio interiore presente fin dalla nascita e pedinando l’immortale sensualità della diva allorquando “vive” le sue ballate o quando siringa alla mano inizia un viaggio negli inferi.

La Day riesce così ad imporsi dinanzi la macchina da presa, clonando Holiday fin dentro le sofferenti corde vocali, provate dalla sottomissione alla droga e al governo americano, i cui interminabili peccati dell’epoca vengono meritatamente posti in risalto anche in questa pellicola.

La sua voce, sia nei dialoghi che nelle note della new entry “Tigress & Tweed”, resta nell’aere in modo indelebile e permanente, aiutata da acconciature perfettamente conformi agli anni di riferimento.

Bello, sensuale ed irresistibile, ma al tempo stesso sporco e dannato appare perciò l’astro di Billie, e il merito in combo attrice/regista sta nell’appaiare le molteplici ingiustizie politico amministrative sotto forma di caccia alle streghe e mostri da sbattere in prima pagina a quelle intrinseche di un’anima oramai opaca e consumata, incapace di districarsi nel latente egoismo che la circonda.

Tutto ciò però, scortato da una sceneggiatura a senso unico, estromette dai giochi i volenterosi comprimari, ridotti quasi a macchiette per l’eccessivo zelo (Garrett Hedlund) e l’improbabile malizia da giocare contro una “signora del male” di tale caratura (Trevante Rhodes); suadente e pungente altresì si evidenzia il cameo di Leslie Jordan, mefistofelico giudice del gossip, lui almeno onesto e sincero nella crociata verso la star maledetta rispetto a quelli con la toga.

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