Richard Jewell (2020)

Eroe per caso, mostro per convenienza

Alla soglia dei 90 anni e in prossimità dell’ultimo ed eccellente The Mule, Clint Eastwood si ripete, portandoci in dote l’ennesimo lascito e un’altra pietra miliare di una carriera strepitosa. Nella sua impeccabile ultima filmografia trova spazio Richard Jewell, ulteriore storia dai contenuti reali, specialità della casa dal 2011, anno in cui col biopic J.Edgar il pluripremiato regista si è dedicato solamente a narrare accadimenti oggettivi, alternando uomini di comando ad eroi voluti o casuali, risaltando in ognuna delle sue opere la soggettività e l’introspettivo recondito dei protagonisti, costretti spesso a fare i conti con la solitudine psicofisica derivante da eventi a loro limitrofi e deflagranti!

L’arco narrativo verte sui fatti del 1996 ad Atlanta e l’attentato occorso alle relative Olimpiadi, sventato nella quasi totalità da Jewell, guardia di sicurezza e maniaco sostenitore di polizia e comando, il quale, accorgendosi di uno zaino nascosto, avvisò le forze dell’ordine e riuscì assieme a loro ad allontanare un sostanzioso numero di presenti, salvando così centinaia di vite e limitando il bilancio di morti e feriti, alla fine esiguo. Successivamente all’investitura popolare di eroe, alcuni suoi atteggiamenti giudicati troppo ambigui e misantropi dall’FBI, lo rivolteranno a sospettato principe, e una volta dato in pasto alla stampa sarà il mostro da sbattere in prima pagina!

Eastwood attacca dalle primordiali battute nella descrizione minuziosa di uomini e avvenimenti, dando immediatamente perciò a chi segue la possibilità di capire le caratteristiche di ogni soggetto in gioco, preparando il campo affinché quando la bomba esploderà i ruoli saranno già suddivisi, grazie all’abilità di un cast corale, perentorio a improvvisare una recitazione veritiera ma fulminea e di impatto.

Un filo sottile legherà il timido, impacciato ma infine impavido Richard – per merito di Paul Walter Hauser, all’ottimo debutto da interprete principale – all’avvocato Watson Bryant, lui vulcanico, fumantino e irriverente contro tutto e tutti, pronto a gridare l’incredibile torto che si sta procreando in faccia ai tutori della legge, TV e giornali, ottusi nella strada intrapresa. Sarà il solito straordinario Sam Rockwell a farne le veci e a condurre in pratica la trama intera, tessendo le fila tra il suo assistito, la mamma disperata (una credibile e tenera Kathy Bates), il direttore delle indagini, sì fuori pista ma generoso e patriottico (John Hamm), e la reporter cinica a caccia di scoop e carriera – parte perfetta per Olivia Wilde – che poi però ritroverà redenzione e professionalità!

Il clima raggiunge la giusta ansia, oltre che per la macchina da presa sempre attenta e vigile nei dettagli ma pure dinamica a seguire i fatti, anche in virtù della sceneggiatura di Billy Ray, specialista di mistery/action, che cede perciò agli interpreti parole incisive e mai banali. Grazie a queste infatti, qualunque dialogo svolto assume contorni sorprendenti e creatori di thriller e pathos, sia che avvenga nell’intimità domestica madre/figlio, negli uffici della difesa, davanti agli interrogatori, nelle redazioni e quando la “cacciatrice” Kathy Scruggs va alla ricerca di gossip, facendoci persino dubitare sull’innocenza dell’uomo.

Importante come non mai questo lungometraggio, che riporta Eastwood nella dimensione più democratica che ci sia, lui già convertito con Gran Torino verso lidi umani e ultra razziali e che ora, oltre ad avventarsi contro il famoso “Quarto Potere”, abile a distruggere vite senza il minimo pudore e coscienza d’animo, si scaglia all’attacco dell’establishment governativo a stelle e strisce e mondiale, bisognoso dopo qualunque tragedia, strage se non guerra vera e propria, di trovare il mostro a tutti i costi per ricevere consensi e ripartire! Lo fa con tutti i mezzi possibili, in primis appunto l’uso sfrenato di media a libro paga (?) e le poco perspicaci investigazioni federali, pronte addirittura a raccogliere finte ammissioni di colpa per ottenere riscontri!

Efficacie pure il verso dell’americano medio, innamorato di ordine e armi, moda che dunque fa di lui un profilo da serial killer a tutti gli effetti, in tal caso collaterali.

Il film è lungo ma scorre bene, proprio perché la bravura di un mostro sacro a dirigerne i movimenti, permette di concentrarsi solamente sullo stato d’animo del debole Richard, deluso da ciò che ha amato e idolatrato per tutta la vita, accennando appena alla risoluzione del caso, svelata proprio davanti la guardia nelle fasi conclusive della pellicola, quando i danni interiori sono già implosi e non c’è più bisogno del lieto fine!

Eastwood si rivela giovane d’animo più di chiunque altro, per il coraggio, l’ardore e la spavalderia con i quali risveglia per l’ennesima volta le nostre coscienze, spesso troppo veloci nel dimenticare drammi e ingiustizie, prevaricando la sua immagine utilizzata sovente e ipocritamente a livello politico, calpestando e distruggendo al contrario quelle figure moderate che i suoi detrattori gli vorrebbero affini. Lo fa esaltando da un lato il cittadino per lui modello, fedele e leale su regole e istituzioni e dall’altro abbattendo per l’appunto gli organi di potere, assuefatti anch’essi alle convenienze del momento e pronti pertanto ad abbandonarlo! Il suo non è uno schierarsi, ma prendere le distanze da qualunque sopruso perpetrato su persone innocenti, senza palesare colori o preferenze e aiutato dall’inarrivabile genio che ne ha fatto un’icona.

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