Pieces of a woman (2020)

Martha (Vanessa Kirby) sta aspettando una figlia fortemente desiderata da lei e dal suo compagno, Sean (Shia LaBeouf). Una sera Martha entra in travaglio e, assieme a Sean, cerca di dare alla luce la sua bambina. Durante il parto in casa, però, c’è una complicazione e la bambina poco dopo muore. A nulla servirà l’intervento dell’ostetrica e dell’ambulanza. La pellicola ci porta quindi ad esplorare il percorso di elaborazione del lutto e del dolore da parte di entrambi. Questo lutto porterà la coppia a separarsi e ad allontanarsi sempre più. Lui, cercherà rifugio nelle sue passate dipendenze di droga e alcool. Lei invece si chiuderà in sè stessa. Il tempo però, come dice un personaggio del film, aiuta a guarire ogni ferita, e anche Martha, riuscirà a riprendere in mano la sua vita.

Il grande merito di questa pellicola è quello di affrontare un argomento poco trattato dal cinema, in maniera profonda e delicata allo stesso tempo. Troppo poco, infatti, vediamo sul grande schermo film con protagoniste donne che raccontano i loro drammi, disagi e problemi. Il racconto delle conseguenze fisiche e psicologiche sulla madre di un figlio che muore sotto i suoi occhi poco dopo il parto, è qualcosa che non siamo abituati a vedere al cinema.

Una delle scene più toccanti del film è la scena del parto. La complicità e la chimica tra i due attori protagonisti qui si esprime appieno. Lo scambio di sguardi tra i due, la paura, l’emozione e l’amore che lega i due è trasmesso non solo dalla abilità attoriale dei protagonisti ma anche da una regia intensa ma mai invadente, e dalla musica che ci fa presagire che qualcosa non andrà come previsto. L’abbraccio e gli sguardi tra Martha e Sean mentre lei è nella vasca è qualcosa che non dimenticheremo facilmente.

Quello che vediamo nella restante parte del film è prima una ricerca di normalità e poi una grande frattura tra i due protagonisti. Sebbene ci siano molti spunti interessanti e punti di riflessione offerti dal film, putroppo rimaniamo spesso solo sulla superficie dei pensieri e sentimenti dei protagonsiti.

Non è trasmesso allo spettatore con la intensità che ci saremmo aspettati vedendo le prime scene del film, l’abisso che si apre nella vita dei protagonsiti. L’occasione davvero persa è nell’analisi del dolore di Sean. Sean che si rifugia nelle sue passate dipendeze, in una relazione con la cugina di Martha e che vorrebbe condividere il suo dolore con Martha senza riuscirci.

Una nota va fatta anche al personaggio della madre di Martha, interpretata da Ellen Burstyn. Il suo è un personaggio tridimensionale come raramente vediamo in un film. La madre di Martha cerca di aiutare e scuotere la figlia a reagire ricorrendo a mezzi e frasi non sempre corrette.Il regista, però, non la condanna nè esalta ma la descrive in tutta la sua umanità e autenticità.

Da un punto di vista tecnico, bisogna sottolineare la bellezza della fotografia del film. Ogni mese dell’anno viene rappresentato in maniera visivamente ottima. La regia di Kornél Mundruczò e la sceneggiatura sono buone anche se non eccellenti. Proprio una sceneggiatura più intima avrebbe potuto portare il film ad un livello di qualità superiore. Gran parte della riuscita del film si deve alla bravura del cast. In particolare a Vanessa Kibry, Coppa Volpi a Venezia per la sua interpretazione, e Shia La Beouf.

Film da vedere, per convincersi di quanto abbiamo bisogno di storie con protagoniste femminili realistiche e di indagare nel mondo femminile senza stereotipi.

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