Nomadland (2021)

Nomad Soul

La magniloquente regia low fi di Chloè Zhao si incrocia con l’incommensurabile forza scenica della più grande attrice generazionale degli ultimi decenni; ne esce fuori un film monumentale che rimarrà per sempre nella cronistoria holliwoodiana come un diamante grezzo da conservare in eterno.

Frances McDormand impersona alla perfezione la stanchezza e sofferenza di Fern, donna in età pensioniabile trovatasi invece d’improvviso senza marito e lavoro, distrutta da un fato avverso che la costringe ad emigrare in lungo e largo verso l’ovest degli Stati Uniti con il suo vecchio furgone, accettando man mano che la tortuosa strada a sé dinanzi le metta di fronte altri “desaparecidos” moderni, di vivere una vita nomade opposta alle convenzioni sociali.

Di sfondo a questa pietra miliare cinematografica, una fotografia sfocata più prossima al grigio che all’acceso, essenziale per far trasparire la costante reminiscenza di ciò che è stato e non sarà, di quel che si è volutamente lasciato per strada oppure perso per caso, di un’esistenza consuetudinaria fatta di affetti solidi sostituita da un vivere improvvisato e senza un domani!

La luce dark che accompagna i tramonti negli splendidi paesaggi che ospitano Fern e i suoi “coinquilini” all’aperto, si accoppia con lo sguardo costantemente sì felice e propositivo, ma allo stesso tempo terribilmente drammatico, lucido e commosso della protagonista, una lezione recitativa che dà alla pellicola l’alone di rimpianto continuo, unito altresì a voglia di combattere e sopravvivere in una vita d’un tratto mendicante e isolata!

Il lavoro della Zhao è un pugno nello stomaco, soprattutto perché riporta indietro le lancette all’inizio della Grande Recessione, nella quale i suicidi dai balconi rimandavano ai Wall Street Crash della Depressione anni 30: una fine quasi scontata per chi è senza sussidio alcuno e in età avanzata per riciclarsi!

Il gruppo di eroi capitanati da Frances/Fern e diretti dalla Zhao ci insegnano invece una via alternativa alla morte e all’abbandono della speranza, rifugiandosi nei meandri a stelle e strisce per creare vere e proprie comuni, dove unire le esperienze cerebrali di ognuno tentando così di risollevarsi a vicenda, campando di espedienti ma trovando però il sollievo dell’animo, altrimenti costretto a deporre le armi verso una conclusione pietosa!

David Strathairn è l’altra stella di nicchia che appaia Frances McDormand in un’improbabile storia d’amore, impossibile nel clima di sopravvivenza costante, dove impegno esclusivo è di risollevarsi l’uno con l’altro con sentimenti multipli e non individuali.

L’attrice superstar compie l’ennesimo salto in avanti di una carriera straordinaria, azzeccando l’ulteriore ruolo lifetime sebbene in un’opera indie, che ne eleva perciò l’inimitabile improvvisazione e la splendida bellezza di donna in terza età!

I dialoghi che la regista scrive per loro e per gli improvvisati commensali al banchetto, sono liberi al pari dell’arco narrativo, a tal punto da rimandare il più delle volte ai famigerati frame di Terrence Malick, dove la camera dinamica e i piani sequenza catturano vedute e rughe facciali anziché parole!

Chloè Zhao dirige alla perfezione il soggetto di Jessica Bruder, prediligendo coi suoi amati campi lunghi l’America dei grandi spazi aperti, dove l’essere umano si mischia coi fiumi, monti, distese e rocce, denunciando inconsciamente l’oblio della Terra dei Sogni nei confronti degli emarginati sociali, divenuti tali non per scelta!

E’ la natura a farla da padrone in questa tormenta di sofferenza e disperazione; il confronto perpetuo con l’uomo serve a quest’ultimo per elaborare e superare il lutto in modo non convenzionale, riuscendo poi grazie a tale comparazione ad offrire conforto al prossimo più vicino.

Il senso di libertà che fuoriesce da Nomadland supera quello del dramma di una vita al limite, ma non permette a chi se ne impossessa di lasciare spazio ad ogni tipo di stabilizzazione psicofisica, spronandosi a rimettersi in moto e partire per nuovi universi vacanti e indipendenti!

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