La scuola cattolica (2021)

La peggio gioventú.

Roma, 1975, dei ragazzi della borghesia capitolina frequentano una rinomata scuola cattolica solo per maschi. La famiglia partorisce mostri, la scuola li educa, o meglio, diseduca. Mariti accentratori, madri ninfomani, mogli devote al proprio marito così come a Dio, preti che vanno a prostitute, mariti omosessuali, strani riti esoterici, disquisizioni filosofiche sul Male, il masochismo, gli anni 70, il rock progressive, Lucio Battisti, la societá patriarcale, la prosopopea dei ricchi convinti di poter assoggettare i meno abbienti, le donne trattate come oggetti. L’umanitá di “La scuola cattolica” è raggelante.
“Ecco come si giustifica l’agonismo dell’uomo: egli prevarica la donna, deve prevaricarla per non essere a sua volta sottomesso. È una mossa preventiva: se l’elemento femminile non viene combattuto finirá per soggiogare quello maschile o con l’amoresessuale o con l’ingranaggio familiare”(Edoardo Albinati, “La scuola cattolica”).
La mascolinitá tossica è al centro dell’ultino film di Stefano Mordini, la sua importanza all’interno della societá e della cultura italiana degli anni settanta, rappresenta in realtá le fondamenta di un mondo malato e disequilibrato, dove le donne sono solo vittime, figure silenti, oggetti nelle mani del sesso “forte”. La paura del femminino li spinge ad avere comportamenti brutalmente primitivi e a contagiare, come fosse una malattia, i propri figli. La scuola non è altro che un microcosmo feroce dove serpeggiano l’omosessualitá repressa, le tensioni omoerotoche, e le violenze assortite, e dove il branco domina e schiaccia come uno scarafaggio il singolo. Mordini partendo dal libro di Edoardo Albinati (un corposo romanzo non romanzo fatto di disquisizioni filosofiche, aneddoti e squarci autobiografici), costruisce un film che si trasforma in dramma e poi in un incubo, dove il suo intento principale, esattamente come lo è stato per Albinati, è il voler allargare a macchia d’olio la responsabilitá di quello che è succeso in quella villa al Circeo, anche oltre quella indiscutibile degli autori delle torture e del delitto. Il regista toscano ha giá dimostrato in passato di essere a suo agio con il thriller (“Il testimone invisibile”, “Lasciami andare”), cosa evidente nella visione di “La scuola cattolica”, che in più occasioni ha lo stile di un thriller dalle inquietanti sfumature sociologiche, un’opera che rimanda agli ambigui e angoscianti umori che aleggiavano in “I figli della notte” di Andrea De Sica, uno dei film italiani più sottovalutati degli ultimi anni. In “La scuola cattolica”, cosí come nel film di De Sica, vi sono tracce da fiaba nera, musiche che danno il giusto mood al racconto e una notevole gestione degli spazi scenici. Le due giovani vittime sono principesse proletarie imprigionate in una villa a picco sul mare e sono in preda a tre orchi borghesi che le annienteranno fisicamente, psicologicamente e sessualmente. Il pregio di Mordini è anche quello di non aver avuto nella realizzazione della sequenza del massacro uno sguardo voyeuristico. La parte più cattiva del film risulta in un certo senso scarna e quasi pudica, il regista è più interessato alle origini della ferocia che non alla sua esplosione. Perfetta la ricostruzione storica e azzeccati tutti gli interpreti, “La scuola cattolica” è carente solo nell’approfondimento del discorso politico, molto presente invece nella vicenda di cronaca da cui è tratto. La rappresentazione dell’asse etero/borghese/fascio/cattolico, che all’epoca come oggi crea parecchi danni, non è sviscerata a sufficienza.
Pasolini e Dacia Maraini in quegli anni dichiararono che la voglia di assoggettare la donna faceva parte anche del mondo proletario e non solo di quello borghese, quello che però colpisce, è che una classe sociale che ha avuto la possibilitá economica di studiare e di ricoprire ruoli di prestigio nella societá, abbia in realtá una cultura e una apertura mentale solo apparente e che in più applichi senza pudore il concetto servo/padrone caro a Hegel. Altro che borghesia evoluta.

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