Dogtooth (2009,distribuito nelle sale italiane nel 2020)

Una villa con piscina isolata dal resto del mondo è lo scenario nel quale vive una famiglia composta da padre, madre, due figlie femmine e un figlio maschio.
L’unico che può uscire è il padre, la moglie e i figli devono rimanere in casa, nullo deve essere il rapporto con il mondo esterno.
Yorgos Lanthimos racconta un gruppo di esseri umani costretti a vivere in uno stato emotivo sfalzato, uomini e donne, ma soprattutto ragazzi, in preda ai loro istinti.
Il regista greco rielabora e attualizza la tragedia greca utilizzando una messa in scena che stupisce e squarciando la narrazione con lampi di violenza ed ironia.

“È esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in un certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedono” (Platone, “La Repubblica”).

“Dogtooth” rimaneggia il mito della caverna di Platone.
Esso racconta di un gruppo di prigionieri incatenati sin dalla nascita nelle viscere di una caverna.
Le loro membra, cosí come le teste sono bloccate, in maniera che possano fissare solo il muro che hanno davanti.
Alle loro spalle è stato acceso un fuoco, tra il fuoco e i prigionieri vi è una strada rialzata lungo la quale passeggiano alcuni uomini che portano forme di vari oggetti, animali e piante.
Le forme proiettano la propria ombra sul muro, attirando l’attenzione dei prigionieri.
Se qualcuno degli uomini che trasportano queste forme parlasse, si creerebbe nella caverna un eco che porterebbe i reclusi a pensare che questa voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro.
Chiunque, osservando tale situazione dall’esterno avrebbe un’idea veritiera di ciò che accade, mentre i prigionieri sarebbero convinti che le ombre parlanti sono oggetti, animali, piante e persone.
Se uno dei reclusi venisse liberato e uscisse dalla caverna verrebbe accecato dalla luce del sole.
Abituatosi però alla nuova situazione e rimanendo sorpreso da ciò che ha scoperto vorrebbe condividere tale novità con i suoi compagni che abituati alla loro condizione non accetterebbero di uscire dal loro piccolo universo.
Yorgos Lanthimos si avvicina all’allegoria di Platone ma la personalizza, rendendola più attuale e crudele e ribalta ad esempio il ruolo del personaggio che esce dalla reclusione coatta.
Se per Platone esso è il portatore della conoscenza e della verità, in “Dogtooth” è invece incarnato dal padre che narra ai figli una realtà completamente sfalzata.
Se nel mito della caverna i prigionieri si rifiutano di vedere il mondo esterno in “Dogtooth” la figlia maggiore vuole uscire dalla gabbia in cui vive.
Per il filosofo George Berkeley gli uomini non conoscono i veri oggetti del mondo,ma solo l’effetto che la realtà esterna ha sulle nostre menti.
Egli intende dire che quando guardiamo un oggetto, ne percepiamo solo una copia, una proiezione mentale del vero oggetto della realtà esterna, Lanthimos estremizza ancor di più tale discorso, nel suo terzo lungometraggio tutto è filtrato dai racconti del padre e della madre dei ragazzi, essi imparano persino un nuovo linguaggio (la fica è una grossa lampada, gli alieni sono dei fiorellini gialli…)in una stoica dittatura socio culturale.
La metafora messa in scena dal regista greco si muove su due piani, uno più microcosmico e l’altro piú macrocosmico.
Partendo appunto dal microcosmo di un nucleo familiare costretto a vivere in un’autarchia quasi fantascientifica ed irreale e in una dittatura che riscrive linguaggi, metodi educativi e strutture sociali, si allarga a macchia d’olio fino a divenire macrocosmico, perchè se la famiglia è lo specchio dellà societá, quella di “Dogtooth” ci mostra senza pietá e con sguardo frontale come l’essere umano possa essere plasmato come materia ancora informe da chi ha un ruolo di potere (politici, mass-media, religioni,padri padroni).

“Un cane è come la creta, il nostro lavoro qui è di dargli forma: un cane puó essere dinamico,aggressivo,un lottatore,codardo o affettuoso. Richiede lavoro, pazienza ed attenzione da parte nostra. Ogni cane, aspetta che gli insegnamo come comportarsi” (dal film).

Uomini e donne come cani, bestie da spersonalizzare ed educare nel nome di un amore genitoriale folle.
Il padre e la madre del film continuano a ripetere i meccanismi malati della famiglia borghese del passato che trovava nell’incesto il modo per proseguire ad avere rapporti sessuali e a riprodursi senza avere bisogno di ricorrere ad estranei.
L’unica figura aliena che entrerá, seppur sporadicamente, nella casa/gabbia verrá eliminata perchè portatrice tramite il cinema (presterá tre VHS di film hollywoodiani ad uno dei personaggi) di una visione del mondo del tutto nuova.
“Dogtooth” è un film fondamentale e spartiacque, c’è il cinema prima di lui e c’è quello dopo di lui.
Un’opera del 2009 distribuita in Italia con undici anni di ritardo ma che è riuscita ad essere seminale grazie soprattutto al passaggio al Festival del Cinema di Cannes del 2009 (premio al miglior film nella sezione Un certain regard) e allo streaming.
Quando la parola capolavoro è più che azzeccata.

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