Acque Buie (2020)

Senza nessuna via di scampo

Quattro amici di vecchia data si ritrovano spogliati di quel poco in loro possesso, sotto forma di case e sogni nel cassetto. La causa è il deflagrante uragano Katrina, la location è la Louisiana di New Orleans e il quartiere, già malfamato e ghettizzato di suo, il Lower Ninth Ward; le riprese e gli aiuti in nome della FEMA sono lenti a mettersi in moto, a differenza di bollette, bocche da sfamare e difficoltà economiche, mentre i colloqui di chi veste “nero” non vengono presi in considerazione, generando angosce e tormenti.

L’ultima – ma inevitabile – speranza prende le sembianze di un mefistofelico bandito locale, introdotto al massimo in lotte clandestine (di animali in primis), armi, droga e rapine.

Ed è così che in un baleno le cose vanno male e i ragazzi si ritrovano in fuga, ricercati e pedinati, sospettati di truffa dal malvivente e bisognosi di redimersi attraverso personaggi anch’essi ambigui o parenti refrattari e rinnegati.

Niente di nuovo sulla carta in questo gangster road noir movie, iniziando dalla costante trama che strizza l’occhiolino ai disagi delle popolazioni di colore, imprigionate in un’impossibile rebuilding sociale nella terra dei sogni, col sistema bigotto, severo ed infingardo a concedere seconde opportunità alle minoranze comuni; inoltre buoni grintosi, buoni corrotti e cattivi abbondano per tutta la durata della pellicola!

Invece questo lungometraggio buca lo schermo eccome, per merito di RZA, pseudonimo del rapper Robert Fitzgerald Diggs, che dopo una vita a musicare persino Quentin Tarantino, sbarca il lunario in regia grazie ad un adrenalinico modus operandi, che in due velocissime ore e passa ci lascia in dote action, thriller, crime e soprattutto drammi sociali che fanno male allo stomaco!

Per non annoiare come detto con copioni surrogati, si avvale di una trama serrata, che mischia nature cinematografiche diverse, ognuna delle quali fa storia a se ma in modo parallelo, per congiungersi poi nella resa dei conti terminale, scontata sì, ma pervenuta al termine di un percorso ben delineato e appunto non monotono.

La cinepresa sovente a ritroso, unisce infatti la drammatica constatazione di un’emarginazione pubblica che obbliga a trasgredire, l’ansia di una rapina segnata, i brividi di una ritirata impossibile, ripari ciechi, inseguimenti polizieschi, detective story molto intense ed intriganti, onestà paritaria a collusione delle forze dell’ordine, nulle in assenza di ruffiani, spie e soffiate da infiltrati, e governanti miopi ed opportunistici.

E’ proprio qui che il racconto di Paul Cuschieri subisce una sterzata fantastica, creando equiparazione fra indagini all’origine vuote, malavita, desolazione domestica e politica a caccia di rivincite psichiche, ognuna aderente e subordinata all’altra!

Il direttore d’orchestra non può che attingere a Shameik Moore, inedito prodigio della nouvelle vague gangsta/singer/actor, leader del gruppo di scapestrati lui però con sale in zucca, sognante un futuro normale di arte remunerata e quiete familiare, attorno al quale gigioneggerà uno pazzesco cast di supporto, partendo dal suo alter ego “musicale” T.I. (il terribile Clifford Joseph Harris Jr), proseguendo da strepitose vecchie glorie di nicchia quali Wesley Snipes stile padre padrone redento, Ethan Hawke versione John Barrymore e Terrence Howard, ambiguo salvatore della patria, piacevoli ritorni (un subdolo Isaiah Washington), belle e grintose nuove leve (Elsa Gonzalez) e criptici doppiogiochisti del crimine, fra tutti l’eccellente Rob Morgan.

Si va a 200 all’ora e senza un attimo di tregua, passando per iconici barbieri, reverendi, cugini, padri putativi, santi, cowboy e boogiemen: ostacoli di moderni cerchi danteschi, sobborghi malfamati senza opportunità di salvataggio e liberazione.

RZA mette tutto quello che c’è nel pacchetto, e i temi trattati in modo fulmineo ed inesorabile, ci fanno riflettere sull’originaria strafottenza di giovani gangster perduti, che vira poi in paura e ingenuità, sulla discriminazione latente che non concede aspettative, l’abbandono istituzionale post catastrofe nei bassifondi proletari e gli intrighi di una criminalità americana sempre più pressante e protetta.

Il merito di tale successo è di un suadente thriller e uno stimolate arco narrativo poliziesco, ricchi di climax ad effetto e assidue contese fra duellanti, grazie alle quali il regista ottiene il doppio scopo di proiettare un film convenzionale ma non banale e di non pestare i piedi a nessun predecessore!

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