High Life (2018)


Dopo il verbosissimo e banale “L’amore secondo Isabelle” Claire Denis torna a dirigere un film fortemente allegorico, summa di tutte le sue tematiche ed ossessioni.
Il suo è un cinema organico, intriso di umori corporali: lo sperma, il sangue del ciclo mestruale ed il latte materno.
Le sue sono opere che si concentrano implacabili sui corpi dei personaggi che in “High Life” agiscono in un microcosmo claustrofobico.
Claire Denis costruisce un film ipnotico ed impegnativo, costantemente squarciato da ellissi improvvise, flashback e tagli di montaggio selvaggi e ancora una volta si interroga su un’ umanità bastarda, sulla scienza come atto distopico e sulle conseguenze della repressione sessuale.
Con glaciale incedere affronta i grandi tabù dell”occidente (la coprofagia, l’incesto, il suicidio) e non ci risparmia improvvisi lampi di violenza fisica.
“High life” è un film di fantascienza (del resto quale genere è più filosofico di quello fanfascientifico), è una fiaba ambientata nello spazio profondo dove una strega/Medea/scienziata (meravigliosa come sempre la Binoche) sfrutta un manipolo di psicopatici, assassini e disadattati in nome di esperimenti finalizzati alla fecondazione, ed è la storia di un intenso rapporto tra padre e figlia dove il futuro è un mistero insondabile così come lo sono i legami di sangue.
Repressione sessuale ed esplosioni libidinose che si manifestano tramite stupri o rapporti sessuali in stato di trance, silenzi assordanti e dialoghi scarni, la Denis soffoca i suoi personaggi, li schiaccia senza pietà in ambienti angusti ripresi in digitale.
Immagini perfette, levigate, governate dal rosso, il verde ed il blu, i colori rispettivamente del sangue mestruale e quindi della donna, della natura e della calma, tutte componenti presenti nel film ma che la regista francese non rappresenta nella loro accezione positiva.
Le donne di “High Life” sono prive di personalità, vittime del sistema, folli (ma la Denis è una donna e quindi ha comunque inserito nel film un personaggio femminile portatore di un certo ottimismo) , la natura è fonte di sostentamento alimentare ma anche di morte (un personaggio verrà risucchiato dalla terra sino a spirare) e la calma che governa le sequenze e l’agire dei personaggi è solo apparente, il loro muoversi in maniera sinuosa e rallentata è solo il frutto della spersonalizzazione messa in atto da istituzioni non in grado di riabilitare chi ha sbagliato e commesso gravi crimini.
Un film pregno di pessimismo cosmico dove le scoperte scientifiche non sono atti evolutivi e positivi, dove i rapporti tra i personaggi sono basati su giochi di potere finalizzati esclusivamente all’appagamento di bisogni e desideri basici, qui resi ancora più selvaggi dalla situazione estrema in cui vivono.
Un incubo amniotico.
Cinema per pochi.

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