Tar (2023)

Ascesa e caduta umana di una star

La storia di Lydia Tar, leggendaria direttrice d’orchestra e pioniera dell’affermazione femminile in campi “ostili”, viene diretta e scritta per il grande schermo da Todd Field, al terzo lungometraggio in più di 20 anni dopo gli ottimi In The Bedroom e Little Children.

Il regista si conferma mai banale cucendo su misura all’iconica Cate Blanchett un ruolo che le resterà tatuato a vita come l’ennesima performance lifetime, da aggiungere a un curriculum secondo a nessuno.

Solamente una regia attenta alle sfumature e dei dialoghi esasperatamente incisivi, accoppiati ad una recitazione da asso indiscusso, potevano lasciare il segno e colpire in una proiezione lunghissima ma lungimirante.

In Tar infatti, le più di due ore e mezza di durata raccolgono tutte le sfaccettature d’animo di una stella planetaria che ha fatto la storia dei concerti classici, puntando costantemente a far risaltare le complessità di una psiche abituata a “dirigere”, sia sul palco che nella vita comune, le esistenze altrui.

Il film è completo in tutte le sue forme, e appunto preferisce analizzare le oggettività caratteriali e le normalità dell’artista a discapito del suo genio, mettendo perciò in primo piano i rapporti umani, che a differenza di quelli professionali, non sono ricattabili!

Altro punto azzeccato di quest’opera è quello di bypassare le problematiche giovanili di Lydia, accennate dai molteplici flashback psichici che le fanno rivivere momenti appannati ed ascoltare “voci” astiose, cedendo all’immaginario collettivo soltanto degli indizi sulle difficoltà di genere sessuale e familiare da lei vissute in un universo machista.

Il film parte di colpo e col botto con una lunghissima intervista che serve ad esaltare la tempra possente della Tar, divenuta un intoccabile mito filarmonico, al quale lo spettatore cede ogni sua riserva e la idolatra all’infinito, scrivendosi a mente ogni sua frase e qualunque aneddoto l’abbia portata al successo mondiale.

Questo prologo, nel quale la Blanchett dà il meglio di sé alternando durezza a scaltrezza e umiltà nel riconoscere ai precursori l’ispirazione per i successori e la superbia della propria affermazione, ha il merito di chiarire sin da subito lo spessore artistico di Lydia, e le fatiche recondite compiute per emergere ed immergersi in un mondo esclusivamente maschile.

Il lato lavorativo è congiunto a quello umano e sentimentale, specialmente nelle quotidiane pressioni a cui la donna va incontro. Il rapporto amoroso con sua moglie Sharon, con la piccola figlioccia, con l’assistente Francesca e il direttore Sebastian, con Eliot Kaplan o con l’attraente nuova arrivata Olga vanno perciò di pari passo con le decisionali beghe artistiche, la composizione del personale, le lezioni per le borse di studio e l’organizzazione dei concerti che la direttrice d’orchestra deve obbligatoriamente sbrigare, il tutto con le maestose sinfonie di Mahler in sottofondo!

Se l’immensità della propria arte e un’idea di musica inattaccabili permettono alla Tar di procurare il pieno controllo di se stessa, ponendosi al di sopra di tutto in maniera persino cinica, è nella dimensione familiare che la psiche di Lydia comincia a perdere pezzi, per colpa di questo atteggiamento ortodosso di chi non scinde la gestione mediatica da quella affettiva.

Field in questa fase sembra porre all’interno del lungometraggio una certezza inossidabile, e cioè che potere, fama e successo benchè ottenuti con fatica e sacrifici non siano conciliabili con amore, amicizia e fedeltà!

Il dubbio amletico su cosa convenga di più fa ritornare l’animo di Lydia agli albori della sua esistenza, animandone lo spirito quasi di rabbia verso le scelte artistiche che ne hanno fatto una figura di superstar sui generis, elegante sebbene severa e inaccessibile a tutti seppur amata, accrescendo un senso progressivo di solitudine che la accompagnerà allo sgretolamento spirituale.

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