Le sorelle Macaluso (2020)

Palermo.
Una casa.
5 sorelle descritte in 3 fasi delle loro vite: giovinezza, etá adulta e vecchiaia.
La meravigliosa creatura cantata da Gianna Nannini (brano che riecheggia più di una volta tra le dolorose pieghe del film) è la sorellina più piccola, morta in maniera tragica durante un’allegra giornata al mare; tale avvenimento scatenerá nelle rimanenti 4 sorelle traumi vari e rancori assortiti e le metterá di fronte alla difficoltá della rielaborazione del lutto.
Alla seconda regia per il cinema Emma Dante smorza la potenza allegorica, radicale e sperimentale che aveva contraddistinto “Via Castellana Bandiera” (il suo primo lungometraggio) per realizzare un film di cuore e di pancia.
La regista palermitana porta un enorme spettro di emozioni in superficie, non lascia nulla all’immaginazione o fuori campo, sovraccarica le scene con musica, urla, rimandi letterati e cinematografici, riempie costantemente l’inquadratura di comparse e animali, rarissimamente riprende un solo personaggio, un’opera corale affollata di corpi, colori, suoni, cibo…
Emozione è la parola d’ordine de “Le sorelle Macaluso” sentimento spesso scaturito da scelte di sceneggiatura e di regia che scadono nel kitsch e nel ridicolo involontario.
La Dante non è Almodóvar, non ha ancora la sua immensa padronanza del mezzo cinematografico e non possiede la sua capacità di inserire registri parodici e lievemente comici all’interno di contesti drammatici senza risultare stonata.
“Le sorelle Macaluso” parla di un lutto deflagrante che porta le protagoniste ad essere vittime di una condanna brutale, quella di guardarsi sopravvivere senza riuscire a trovare una collocazione nel mondo.
Tutto il loro universo è la loro casa, anche l’unica sorella che si è sposata ed è uscita dall’abitazione viene risucchiata al suo interno.
La casa del film diviene un labirinto funebre e museico di ricordi e malinconie, uno spazio stracolmo di oggetti, mobili, soprammobili, quadri, foto; al suo interno vi è tutto l’indispensabile per far si che le 4 sorelle vivano nella puzza di stantio e nel passato.
I personaggi hanno bisogno degli oggetti per ricordarsi delle persone importanti delle loro vite.
Questo secondo lungometraggio della Dante è tratto da un suo spettacolo teatrale ma non ne conserva lo spirito corrosivo nella messa in scena.
Alle prese con un testo assai complesso Emma Dante ragiona in termini strettamente cinematografici, non vi è nessuna traccia di teatro filmato: riempie lo schermo di primissimi piani, di inquadrature a piombo, usa la macchina a mano in maniera nervosa, spinge le attrici a dare vita a performance enfatizzate e come in “Via Castellana Bandiera” si concentra sui loro sguardi e sui loro occhi.
Guardando “Le sorelle Macaluso” viene in mente, e la cosa sorprende, il cinema di Xavier Dolan, come lui Emma Dante utilizza i brani musicali nella loro interezza, come lui parla della ferocia dei legami familiari ma lo fa in modo dolente e dolce, come lui fa dialogare molto i personaggi ma possiede rispetto a Dolan una carnalitá maggiore, tutto è poco glamour in “Le sorelle Macaluso”, i corpi e i volti delle attrici sono ripresi senza filtri, in maniera impietosa, cinema che porta a galla la veritá e la bellezza dell’imperfezione.
Un film privo del senso della misura, impudico e pornografico nella rappresentazione del dolore e proprio per questo in più di un passaggio scade in sequenze fortemente patetiche e in una drammaticitá ridondante ed ostentata che appesantisce la narrazione.

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