Anatomia di una Caduta (2024)

Anatomia di una vita difficile

Umori, relazioni, drammi familiari e sentimentali, uniti alle difficoltà quotidiane lavorative e genitoriali: Justin Triet riesce ad approfondire ognuno di questi aspetti prendendo come attore principale un’aula da tribunale, dove tutte le parti in causa calano la propria resa dei conti.

Anatomia di una Caduta è un film lungo e completo, che sviscera a fondo il ruolo di una madre tormentata e insoddisfatta della vita matrimoniale rispetto al gratificante lavoro, preoccupata su tutto di tutelare un figlio con enormi problemi.

A far da contenitore di tante inquietudini un processo complesso e drammatico, che deve stabilire se Samuel, scrittore zoppicante e disilluso marito di Sandra, sia morto per suicidio, caduta accidentale dalla finestra o per omicidio di lei.

Lo sguardo poliedrico di Sandra Huller è un pugno nello stomaco per chiunque abbia nella propria esistenza dovuto affrontare difficoltà e drammi, una sorta di punizione afflittiva verso chi non sia mai riuscito ad arrivare a patti con se stesso, chi abbia tirato a campare senza prendere la decisione risolutiva, chi non ha avuto il coraggio di amare e cambiare.

Allo stesso tempo questi occhi riescono però a lasciare un alone di speranza e forza su chi mai si è abbattuto, abbia convissuto parallelamente con tensioni continue a testa alta e sia giunto ad avere fiducia e ardore da un figlio isolato e instabile.

C’è poco che possa sorprendere nell’arco narrativo, scelta azzeccata e voluta che evita l’evolversi di un thriller introspettivo verso la confusione di un dramma d’azione.

L’intervista molto confidenziale e primordiale che Sandra concede ad una giovane giornalista attraente e loquace e la canzone maschilista a tutto volume che Samuel piazza al piano di sopra quasi a voler disturbare il dialogo/conoscenza, bastano e avanzano per far capire gli umori di un rapporto agli antipodi.

E’ da quel piano che l’uomo cade e perde la vita, trovato da figlio e cane a passeggio, ed è da lì, da quella musica forte e disturbante che chi segue, chi accusa e difende devono partire per capire la genesi di una morte e di un logoramento sentimentale che in un modo o nell’altro ne è la causa.

La macchina giudiziaria ha perciò il ruolo di giudice non solo per stabilire moventi o ragioni, ma anche per raccontare la relazione fra i due, intrighi, negligenze ma soprattutto gli enormi sensi di colpa che entrambi si sono portati dietro fino agli ultimi giorni di vita dell’uomo, incidente che provocò l’ipovisione del piccolo Daniel su tutti.

Uno chalet sperduto sulle Alpi poi, più che un nido d’amore si scopre andando avanti essere un’isolata dispersione sentimentale, che allontana la coppia dal mondo esterno non per riunirla ma per approssimarla ad un abisso emotivo senza via d’uscita.

Sobrio seppur bello ed affascinante è il dramma teatrale che si consuma in aula, con la camera dinamica che scorta le dialettiche di accusa e avvocato difensore, pure qui forse l’ennesimo indizio celato di sentimento sottinteso, dove lo spettatore non riceverà mai nessuna certezza ma si schiererà arbitrariamente fra l’insicurezza di un uomo ormai perduto ma forse vittima e la forza/debolezza di una moglie, madre e artista impegnata nel difendere le proprie (non?) scelte e la propria innocenza.

Il colpo di scena dietro l’angolo non vedrà quindi sostanzialmente mai luce, e la colpevolezza di Sandra – magari l’unica – infine sembrerà essere quella di aver proseguito un’esistenza fredda e glaciale ma soprattutto di successo di fianco ad un consorte depresso.

Toccanti sono le argomentazioni contro Sandra, che la fanno apparire professionalmente riuscita ma cinica e disinteressata nella vita domestica, sullo sfondo dei toccanti e malati occhi del piccolo Daniel, che ascolta silenzioso e afflitto le accuse contro di lei, assente da casa e perciò nella sua educazione a differenza dello sfiduciato padre, che potrebbero privarlo di entrambi i genitori.

Triet esalta suo malgrado un bigottismo latente e tuttora presente, che inorridisce ancora nell’accettare l’immagine di una donna libera, affermata e mentalmente solida in una collettività purtroppo saldamente machista e patriarcale, dove l’uomo deve conservare a tutti i costi il gradino sociale più alto.

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